Calcio

Germania-Spagna 2008: L'inizio della generazione d'oro delle Furie Rosse

Alla vigilia di Germania-Spagna, 29 giugno 2008, si affrontano non semplicemente due squadre differenti, e neanche due modi di giocare opposti - certo, anche. Prima di tutto sono poste, l'una di fronte all'altra, due epoche. Un po' come lo sono, in grammatica, il passato remoto e l'indicativo futuro. La Germania che fu, la Spagna che sarà. Anche in termini natali.

La Spagna di Aragones, tra passato e futuro

Della formazione titolare schierata da Luis Aragones quella sera allo stadio Ernst Happel di Vienna, solo tre giocatori hanno - o superano i - trent'anni: si chiamano Carles Puyol, indimenticabile difensore centrale icona del Barcellona pre-guardioliano, che è un classe '78, Carlos Marchena ('79) che si trova al suo fianco, Joan Capdevila, terzino mancino dello stesso anno e Marcos Senna, mediano di gran qualità classe 1976.

Quattro su undici, di cui almeno tre - ma forse anche quattro, considerando le caratteristiche di Senna - giocatori difensivi.

La riflessione sorge dunque spontanea: quale Spagna c'è, quella sera, e quale stava sorgendo - puntando al futuro prossimo di cui sopra? La Spagna che c'è, quella del presente ma anche quella del passato, è la Spagna che fa ancora della fisicità e del dinamismo la propria cifra calcistica peculiare.

La Spagna che stava sorgendo, e che avrebbe cambiato per sempre la storia di questo sport, è quella degli altri sette elementi della formazione titolare: una Spagna prettamente offensiva, tecnicamente sublime prima che fisicamente portentosa. Lo stesso Ramos, l'unico under23 del quintetto difensivo, lui, classe '86, è un terzino atipico: niente a che vedere con l'omologo Capdevila. Ramos offende, ha una qualità enorme tra i piedi, tiene sempre la testa alta e non disdegna il gol - ad oggi è il difensore più prolifico nella storia di questo sport.

A centrocampo, tutti u30 escluso Senna, Xavi, Iniesta (Xabi Alonso) e David Silva disegnano calcio. Accanto a loro, un po' spagnolo un po' anglosassone, Cesc Fabregas, 21 anni e già capitano dell'Arsenal. In attacco, infine, quel Fernando Torres che ridefinisce il ruolo di goleador: un calciatore di una classe sopraffina, nonché autore del gol decisivo in quella finale, con un atto di furbizia (passando alle spalle di Metzelder e Mertesaker) e di immane grazia tecnica, con uno scavetto a beffare Lehman in uscita.

Appunto, la Spagna è bella giovane e forte. Ha un futuro che l'attende, ma si guadagna quell'Europeo - a distanza di 44 anni dall'ultima e unica volta - aggredendo il presente. Ecco perché i 'vecchi' - Puyol e Senna su tutti - non possono essere dimenticati. Non è ancora la Spagna del tiki-taka guardiolesco che nei successivi quattro anni conquisterà un Mondiale e un altro Europeo - ahinoi noto - ma è un ibrido forse irripetibile, frutto del lavoro di un sapientissimo (e troppo spesso dimenticato) stratega: Luis Aragones, appunto.

La Germania di Loew, in itinere

Dall'altra parte, sconfitta, c'è una Germania che è reduce da un Mondiale scottante - l'uscita in semifinale contro l'Italia, da padrona di casa - e al colpo di coda di una generazione forte ma non ancora fenomenale come sarà quella del 2018. Tanto più che nel girone di qualificazione la Germania sì vince due partite (contro Polonia e Austria) ma ne perde anche un'altra, contro la Croazia. Ai quarti vince a fatica contro il Portogallo (3-2), per poi convincere contro la Turchia in semifinale.

L'età media di quella squadra è di 28.3 anni. Quella della Spagna è sotto i 25. Le Furie Rosse vincono tre partite nel girone (contro Russia, Svezia e Grecia, campione in carica), per poi battere l'Italia ai rigori e nuovamente la Russia con un netto 3-0.

Ballack (capitano) e Schweinsteiger, quella sera, guidano l'arrembaggio di una squadra sì forte - e più volte pericolosa, soprattutto con Klose e proprio Ballack, sul finale - ma consapevole di dover lasciare agli spagnoli la storia di quell'Europeo - e del calcio mondiale. Lahm è forse l'unico in campo a reggere il peso tecnico degli avversari. Ma la Spagna è più forte. Lo si avverte dal fraseggio, dal divertimento collettivo, dai duelli - vinti non per forza fisica, di nuovo, ma per strapotere tecnico.

Il gol di Torres (al 33') è come un sigillo sull'esito di quella partita, che salvo rare e non troppo pericolose folate dei teutonici, procederà sul filo rosso della volontà delle Furie Rosse. Fino agli olé del pubblico negli ultimi 3' di partita: non un segno di sfregio dei tifosi spagnoli, ma la convinzione cantata di avere tra le mani - e davanti agli occhi - una materia calcistica rarissima, dal grande avvenire.