Boris Spasskij e Robert "Bobby" James Fischer. Se non avete mai sentito questi nomi, probabilmente siete molto giovani e non vi piacciono gli scacchi (e i film dedicati).
In tutti gli altri casi, è impossibile non avere mai sentito nulla riguardo a quella che è stato definito come "l'incontro del secolo", non solo per i valori sportivi ma anche, se non soprattutto, per la valenza politica che la loro sfida ha portato, in un periodo di piena guerra fredda.
Russo di Leningrado il primo, americano di Chicago il secondo, i due si sono affrontati in una serie di epici incontri per il campionato del mondo di scacchi del 1972, che ebbe per la prima volta un incredibile epilogo a favore di Fischer, primo scacchista americano ad aggiudicarsi il titolo dopo l'egemonia sovietica.
Gli scacchi in Unione Sovietica sono sempre stati una cosa seria, tramandata di generazione in generazione grazie a una scuola di grande prestigio che sfornava schiere di grandi maestri presi fin dalla giovanissima età.
Dalla seconda guerra mondiale in poi, il Campione del Mondo di scacchi è sempre stato un russo: Michail Botvinnik (dal 1948 al 1957 e poi ancora dal 1958 al 60 e una terza volta dal 1961 al 1963), Vasilij Smyslov (dal '57 al '58), Michail Tal'(dal '60 al '61), Tigran Petrosyan (dal 1963 al 1969) e infine proprio Boris Spasskij (dal 1969 al 1972).
Nessuno era mai riuscito a batterli in questo frangente, men che meno un americano, che pure erano stati teatro dei primi campionati assoluti verso fine ottocento, con Wilhelm Steinitz vincitore (americano, ma di origini austriache).
Insomma quando nel luglio del 1972 iniziarono i campionati del mondo in quel di Reykjavík, nessuno mai si sarebbe aspettato che il gran maestro russo potesse essere sconfitto.
La vita di Bobby Fischer e soprattutto il suo carattere, furono di tutt'altro tenore. Da un punto di vista sportivo, si avvicinò agli scacchi in maniera piuttosto casuale, giocando con la sorella. Salvo poi diventarne quasi ossessionato dal punto di vista di studio e applicazione, sintomo di qualche probabile patologia come la sindrome di Asperger.
Il carattere di Fischer del resto, era tutt'altro che socievole. Schivo con tutti, irrascibile quando le cose non andavano bene (alias, quando perdeva) oltre ad avere un certo grado di misoginia e antisemitismo tra i suoi pensieri. Frutto probabilmente della rabbia riversata nelle sue probabili origini ebree (il padre biologico potrebbe in effetti essere stato il fisico Paul Nemenyi).
Al di là dei suoi comportamenti particolari, delle sue ossessioni (come quella per gli abiti e le scarpe di lusso), dei suoi pensieri e delle sue richieste bizzarre (che lo caratterizzarono fin dai primi tornei), Fischer era uno scacchista fenomenale che si impose subito sia a livello nazionale (otto volte campione americano) sia a livello internazionale (divenne gran maestro già all'età di 15 anni).
Vittima del suo stesso carattere, Fischer arrivò persino al ritiro tra il 1962 e il 1967, a seguito di una forte controversia con la federazione dopo aver lui stesso accusato alcuni giocatori russi (tra cui il campione del mondo Tigran Petrosjan) di imbrogli.
Poi, nel 1970, il suo ritorno sulle scene. E fu un trionfo.
Ai campionati del mondo del 1972, da disputare in Islanda, Fischer non avrebbe nemmeno potuto partecipare, visto che il suo ritiro ne aveva precluso le qualificazioni tramite il campionato statunitense. Fu invece il torneo internazionale disputato a Palma di Maiorca nel 1970, a rimescolare le carte a suo favore.
Al torneo partecipavano tutti i grandi sfidanti per il titolo mondiale, tra cui alcuni tra i più forti giocatori russi: Mark Tajmanov, Viktor Korcnoj, Juchym Heller e lo stesso ex-campione Tigran Petrosjan. Fischer dominò il girone iniziale (di 24 giocatori con incontri all'italiana), per poi distruggere letteralmente tra i quarti e le semifinali i poveci Tajmanov e Larsen (forse il più grande scacchista danese di tutti i tempi) con un perentorio 6-0. In finale, si trovò di fronte proprio Tigran Petrosjan, che nonostante una ferrea resistenza dovette piegarsi per 6,5 a 2,5.
La strada verso l'Islanda per Fischer era così spianata. Ma furono ancora una volta le sue stesse assurde richieste a rischiare di mandare tutto all'aria. L'americano infatti aveva richiesto di non far vedere in televisione l'evento (sarebbe stato il primo trasmesso sull'intero globo), così come di ricevere una percentuale sugli incassi degli spettatori. Alla fine non tutto fu esaudito, a fronte però di un raddoppio del suo premio (e, si narra, di una telefonata direttamente da Henry Kissinger).
Quella partita, in effetti, aveva ormai assunto i connotati di una vera e propria sfida politica epocale: di fronte non c'erano solo due giocatori, ma due icone dei rispettivi schieramenti. L'intricata macchina sovietica da una parte, l'innovazione americana dall'altra.
Politica a parte, a Fischer così come a Spasskij, interessava soprattutto vincere quella sfida. E nella maniera quanto più equa possibile, malgrado tutte le condizioni (e i condizionamenti) esterne. La prima partita mise alla luce proprio le difficoltà di concentrazione di Fischer, autore di un banalissimo errore che gli costò la sconfitta.
Proprio in seguito a quella debacle iniziale, l'americano provò a rilanciare le sue richieste (tra cui di nuovo quella di togliere le telecamere, che a suo dire lo deconcentravano). Cominciò così un'altra partita a scacchi: Fischer muoveva per far esaudire le sue richieste, Kissinger riprese in mano il telefono per convincere il suo giocatore dell'importanza di tornare a giocare, il russo che dal canto suo si dimostrò fin troppo accondiscendente a riguardo.
Dopo il 2-0 a tavolino infatti (Fischer non si presentò alla seconda partita), fu lo stesso Spasskij ad accettare alcune condizioni pur di tornare davanti alla scacchiera contro l'avversario. In quelle nuove condizioni, Fischer ritrovò la sua sicurezza, mentre il russo per la prima volta, vacillò e perse. Al termine della giornata, il punteggio era di nuovo in parità: 2,5 a 2,5 (due vittorie per parte e un pareggio).
La sesta partita, fu probabilmente quella della svolta. Fischer trovò ancora una volta la strada della vittoria, con qualche mossa particolarmente abile al punto che lo stesso avversario (oltre al pubblico presente), rese onore al vincitore. La serie continuò sul 5-3 per Fischer, ma ora la strada era tutta in discesa per l'americano.
Spasskij tornò alla vittoria solo all'undicesimo incontro (peraltro dopo una pausa per qualche problema di salute, dovuto probabilmente alle pressioni crescenti provenienti dalla madre patria), salvo poi pareggiare otto delle successive nove partite. Si arrivò così al ventunesimo scontro, che visti i tre punti di vantaggio di Fischer, risultava già decisivo.
L'epilogo fu particolare, tanto quanto le condizioni esterne di gioco (cause per danni, tentativi di frode, perquisizioni a tappeto e altre richieste da parte di Fischer). Bobby stava dominando la partita, sospesa a un passo dalla vittoria. Spasskij però non tornò più al tavolo, ma affidò la sua mossa a una busta, salvo poi telefonare poco prima dell'apertura per annunciare il suo ritiro (trovando ulteriore polemica in Fischer).
Il ritorno in patria di Fischer fu alla stregua di un eroe nazionale che aveva appena sconfitto il nemico in guerra. Ma, come era lecito aspettarsi da un carattere del genere, Bobby non si presta molto a questo ruolo di icona, ma invece divenne sempre più schivo e fuori dalle logiche sportive della sua federazione.
Fischer rimase campione del mondo dal 1972 al 1975, ma di fatto non "difese" mai il titolo. La prima sfida ufficiale sarebbe dovuta essere contro il campione russo Anatolij Karpov, ma Fischer rifiutò di partecipare a quell'incontro, dopo che la stessa federazione non aveva preso in considerazioni alcune sue modifiche al regolamento della sfida finale.
Fischer scomparve definitivamente dalle scene, salvo rientrare poi dopo vent'anni di oblio, proprio per sfidare di nuovo Spasskij. Il loro ranking mondiale era precipitato oltre la centesima posizione nel frattempo, ma per Fischer quella partita (giocata in Jugoslavia, malgrado l'embargo) era a tutti gli effetti la vera finale del campionato del mondo (in quel momento saldamente nelle mani di Kasparov).
La sfida fu vinta da Fischer, di nuovo, ma non ebbe alcun valore se non per i due contendenti, finalmente amici e rivali, senza le infinite pressioni dei rispettivi governi.