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Calcio

Ajax-Juventus, finale Champions League 1996: finalmente il sogno diventa realtà

Per i tifosi juventini, il rapporto con la Coppa dalle Grandi Orecchie è sempre stato piuttosto complicato.

Tuttavia, nemmeno il più pessimista avrebbe immaginato di dover vivere un digiuno che viaggia ormai verso i 30 anni. Ripercorriamo oggi proprio l'ultima notte in cui il popolo bianconero si affermò sul tetto d'Europa.

Ajax-Juventus, quel ricordo che fa bene e male al tempo stesso

Non me ne vogliate, ma dallo scorso 6 gennaio il ricordo dell'ultima Coppa dei Campioni/Champions League vinta dalla Juventus è adombrato da una tristezza che purtroppo nulla ha a che vedere con il lungo digiuno della Vecchia Signora da questa competizione.

La tristezza è data dal sapere che quel capitano così forte e coraggioso, per il quale alzare quella coppa era una gioia incommensurabile dopo la delusione patita qualche anno prima con la maglia della Sampdoria, non è più tra noi.

La scomparsa di Gianluca Vialli ha reso un po' più amaro il ricordo di quella serata bellissima, conclusa ai calci di rigore ma che si sarebbe potuta vincere anche prima. E pure perdere, certo. La sensazione, oggi come allora, era però di una Juve troppo più forte e convinta dei suoi mezzi, per lasciare strada a qualcun altro.

Che Juve era

Era l'anno del post-Baggio, mandato al Milan anche per non ingombrare la crescita di un fenomeno di casa come Alex Del Piero, che proprio in quella stagione aveva inaugurato il suo "GOL ALLA...".

Ma quella Juve era la più autenticamente "lippiana" di tutte, un 4-3-3 che operava un pressing incessante e che chiedeva ai suoi attaccanti di essere i primi difensori.

La mole di lavoro chiesta dal futuro tecnico dell'Italia campione del mondo ai suoi attaccanti era massacrante, ma pagava dividendi eccezionali. Il primo da portare all'incasso arriva al minuto numero 13, e vale la pena di soffermarcisi.

Il capolavoro di Penna Bianca

C'è una rimessa laterale nella metà campo offensiva dei bianconeri, e dalla trequarti di destra Ciro Ferrara fa partire un lancio in verticale.

Si tratta di un lancio senza troppe pretese, di sinistro e spiovente, ma la presenza di Ravanelli crea apprensione a Frank De Boer che infatti pasticcia di testa, alzando un campanile dal limite della sua area.

Edwin Van Der Sar ci mette del suo ritardando l'uscita e qui si inserisce il capolavoro di "Penna Bianca".

Fabrizio Ravanelli si inserisce tra le insicurezze dei due avversari, di controbalzo la sottrae al portiere olandese e scatta. La palla va verso la linea di fondo, ma pure se in posizione defilatissima l'attaccante calcia di interno destro verso la porta.

La palla è lenta ma non abbastanza per consentire a Silooy di respingerla prima che varchi la linea.

È gol, un gol bellissimo che si gode meglio guardandolo e riguardandolo, a caccia di dettagli decisivi. Uno di questi è la certificazione di una delle qualità più importanti per un attaccante: quella di "vedere" la porta anche senza guardare. Ravanelli rincorre la palla, ma non guarda la porta se non prima di aver calciato.

Pure in quell'equilibrio precario e nella torsione non certo solita, soprattutto da quel punto del campo, Ravanelli sa ESATTAMENTE dove è la porta e si coordina nella maniera giusta per centrarla, in una frazione di secondo.

Quando Peruzzi era Peruzzi

Un altro grande protagonista di quella Juve, e di quel trionfo, era Angelo Peruzzi.

Sono tutt'ora convinto che "Er cinghialone" sia uno dei più grandi di sempre tra i pali, in carriera ha fatto salvataggi che sembrano finti e uno di questi è la respinta sul colpo di testa di Kanu.

Peruzzi era uscito di pugno su un corner, poi c'era stato il tentativo dal limite di Musampa, rimpallato prima dal sinistro di Bogarde che involontariamente l'aveva alzata sulla testa di Nwanko Kanu. Il nigeriano colpisce di nuca, mentre Peruzzi sta ancora cadendo come riflesso per il tiro appena scoccato. La palla si alza e il pareggio sembra cosa fatta, ma Peruzzi si inventa un secondo salto, una roba un po' alla Ed Warner, un balzo all'indietro con schiaffo alla palla per toglierla dalla porta quando l'Ajax era ormai a una decina di centimetri dal pareggio.

Il pareggio arriverà circa 5 minuti dopo, sul finire del primo tempo, e proprio sull'unica indecisione di Peruzzi (e di tutta la difesa) nell'intera partita.

Su un calcio di punizione di Ronald De Boer, Angelo non si aspetta forse una traiettoria così centrale e respinge male, non allontanando ma nella mischia che si era creata.

Ne approfitta Jari Litmanen, che controlla "in un fazzoletto", come si diceva una volta, e castiga la Juve, chiudendo il 1° tempo sull'1-1.

Quel gol mancato di Vialli

Nel corso della ripresa e dei supplementari, ci sono più occasioni da ambo le parti.

Lippi azzecca i cambi, inserendo Jugovic per l'infortunato Conte e il serbo si destreggia con la consueta eleganza mista a concretezza. A una manciata di minuti dalla fine dei regolamentari, Jugo ruba magistralmente palla al biondo Scholten a centrocampo e lancia Padovano in profondità sulla sinistra. L'attaccante converge e ci prova, ma viene contrato.

Sulla palla vagante si lancia lui, il capitano coraggioso. Come se non avesse rincorso avversari, dando e prendendo botte, per 90 minuti, Gianluca Vialli si avventa con leggiadria sul pallone, anticipa Van Der Sar scartando verso sinistra ma, sullo slancio e in caduta, calcia di sinistro sull'esterno della rete, da non più di 2 metri.

Sarebbe stato il gol partita, un modo per chiudere ancora più da protagonista quella sua bellissima stagione bianconera, in cui non aveva mai smesso di accendere i cuori dei tifosi, per quel suo modo così unico di dare sempre tutto, in campo e fuori.

Poi il successo è arrivato ai rigori e Luca Vialli poté comunque esultare, anche senza tirarne uno in prima persona.

Secondo Lippi aveva declinato, lui disse che avrebbe eventualmente tirato il sesto.

Non sappiamo come siano andate realmente le cose, ma certo un simbolo come Vialli ha strameritato quella coppa alzata con vigoria e senso di liberazione.

Che era suo e di tutti i bianconeri che avevano ancora il cuore macchiato dall'Heysel.