Calcio

Andres D'Alessandro, solo gli highlights

Non si può definire un "bidone", Andres D'Alessandro: qualcosa qua e là ha vinto, di gol ne ha segnati, ma all'inizio della sua carriera sembrava che una squadra per diventare grande dovesse a tutti i costi avere in rosa questo argentino mancino e piccoletto.

D'Alessandro e un tutt'uno con il suo movimento marchio di fabbrica, una specie di finta con dribbling all'avversario in due tempi, chiamato "La Boba", che in italiano sarebbe "La stupidotta".

Disastroso in Europa, un po' meglio in Sudamerica, guardando la sua vita calcistica a posteriori tutto sommato si strappa un sorriso quasi di commiserazione.

D'Alessandro dal River al Wolfsburg

Ci sono migliaia di esempi di giovanissimi talenti sudamericani che, anche grazie a un sapiente lavoro dei propri procuratori, riescono ad accaparrarsi un posto nei migliori club europei.

E il sapiente lavoro è anche mettere in circolazione i video giusti, come quelli che a cavallo del millennio vedono un fantasista mancino argentino (un trittico sempre interessante) fare a pezzi le difese del suo campionato con un gioco di gambe eccezionale: è Andres D'Alessandro con la sua "boba", avversari inciuchiti e tifosi in questo caso del River Plate che si spellano le mani.

È ora di monetizzare per i "Millionarios", specie quando l'Argentina vince il Mondiale under 20 con lo stesso D'Alessandro grande protagonista.

Ci sono anche le italiane interessate a questo talento nato nel 1981 destinato a un grandissimo futuro: Juventus e Inter pare che chiedano informazioni, ma all'improvviso nell'estate del 2003 D'Alessandro firma con un club che sembra distante anni luce dall'Argentina e da un certo tipo di calcio giocoso: il Wolfsburg, in Germania, che paga per lui 13 milioni di euro.

L'inizio è pure buono, ma i campi della Bundesliga, e il fisico degli avversari, non sono molto amichevoli nei confronti del "Cabezòn", il "Testone", che finisce pure nel mirino del suo direttore sportivo, il mitico Klaus Augenthaler: "Si crede Maradona e non va bene".

Morale, dopo tre anni è già tempo di fare le valigie, in un periplo di prestiti che va dal Portsmouth al Saragozza, senza mai davvero convincere. Tutte le aspettative del ragazzo della "Boba" si sono liquefatte e a 25 anni, nel 2006, D'Alessandro saluta per sempre l'Europa.

Epopea Internacional

Sarà in Brasile, incredibile per un argentino, che D'Alessandro troverà la sua seconda patria calcistica.

In tre spezzoni diversi di carriera diventerà la stella dell'Internacional di Porto Alegre, con cui nel 2010 conquista addirittura la Coppa Libertadores.

È una squadra che arriva in fondo al torneo da totale outsider, la cui stella oltre a D'Alessandro è una sorta di sua versione brasiliana, Rafael Sobis, grandissimo da giovane e poi persosi per strada.

Sente di meritarsi la convocazione in nazionale, Andres, per il mondiale del 2010. Del resto il commissario tecnico è Maradona, che su D'Alessandro si è addirittura sbilanciato così: "È il giocatore che mi assomiglia di più, è l'unico che mi diverte quando vedo una partita".

Invece niente convocazione e in generale feeling inesistente tra "El Cabezòn" e la nazionale argentina, con appena 9 gettoni in carriera. Meglio all'Internacional, dove D'Alessandro diventa addirittura il capitano e che seguirà anche in Serie B.

Fino al ritiro, a quarant'anni suonati, sempre con la squadra di Porto Alegre. I capelli sempre radi, il volto rimasto identico a quelli di due decenni prima, solo un po' invecchiato, i movimenti più compassati e meno esplosivi.

Un grande abbaglio, D'Alessandro? Non ditelo ai tifosi dell'Internacional o a quelli del River Plate. Uno che si è scottato non appena è venuto a toccare un altro mondo calcistico, l'Europa, quello sì. Con la "boba" almeno come ricordo imperituro.