Calcio

Ariel Ortega, le due facce del "Burrito"

L'immagine stessa del fantasista discontinuo ma talentuoso: Ariel Ortega, detto "El Burrito", ovverosia "L'Asinello", in realtà ha saputo accendere spesso la luce.

Il problema è che l'ha fatto dall'altra parte del mondo, in Argentina, mentre quando ha messo piede in Italia, in Serie A, ne ha combinata una peggio dell'altra.

Ortega re del River Plate

"L'idea era di fare un provino non solo con il River Plate, ma anche con il Boca Juniors e con l'Independiente. Una volta completato il test con il River, però, capii subito che sarei rimasto con loro". Parole e musica di Ariel Ortega che in effetti nel 1991 a nemmeno 17 anni viene tesserato dai Milionarios.

Inizia così la prima di quattro tappe indimenticabili per l'argentino con il River Plate.

Il culmine, nel 1996 con la vittoria in Coppa Intercontinentale: il tridente è di quelli che fanno girare la testa, perché oltre ad Ariel ci sono il presente e il passato del calcio sudamericano, Hernan Crespo ed Enzo "El Principe" Francescoli.

In panchina Ramon Diaz, l'ex attaccante di Avellino, Napoli, Inter e Fiorentina.

È evidente che quel River è destinato ad essere saccheggiato dalle big europee, così Crespo va al Parma, per esempio, mentre Ortega finisce in Spagna, al Valencia, dove a grandi prestazioni sul campo si combinano voci indistinte sulle sue notti brave.

Infatti dopo un buon inizio i numeri vanno in calando.

Doppio flop

L'estate del 1998 è la chiave per Ariel, che fallisce clamorosamente al mondiale con l'Argentina ma viene comunque comprato dalla Sampdoria per 15 miliardi.

In entrambi i casi la maglia numero 10, pesantissima sia per l'Albiceleste che per i blucerchiati, finisce per essere un macigno insostenibile.

Clamoroso poi l'episodio dell'espulsione ai quarti di finale del mondiale, quando va a dare una testata stupidissima a Van der Sar sull'1-1 e all'ultimo minuto Bergkamp punisce l'Argentina.

Il portiere esagera un po', ci sono quasi 30 centimetri di differenza in altezza a suo favore, ma l'ingenuità di Ortega è clamorosa. "Non mi avevano fischiato un rigore, Van der Sar viene da me, pensavo l'arbitro non vedesse e invece.. Quando in spogliatoio ho sentito del gol dell'Olanda avrei voluto tornare in Argentina a piedi", ammetterà.

E alla Sampdoria uguale, ma nel corso di una stagione che per i blucerchiati culmina addirittura con un'inaspettata retrocessione. Per "El Burrito" pochissimi lampi, come il pallonetto in corsa vincente contro l'Inter in un clamoroso 4-0 o un gol su punizione alla Juventus.

La verità è che Ortega in campo è troppo disequilibrante: una squadra non può reggere lui e due punte, quindi o finisce in panchina o dietro un unico attaccante.

La Sampdoria in B non può tenere l'argentino che finisce al Parma, ma anche in gialloblù combinerà veramente poco.

Unica medicina, il ritorno al River: il secondo, poi ne arriveranno altri due, coronati da altri due titoli argentini. In mezzo anche un campionato vinto con il Newell's Old Boys e un biennio in Turchia, tra le altre cose.

Disordinato, incontenibile se in giornata e disastroso se non in forma, Ortega è stato davvero un grandissimo calciatore limitato a un unico contesto, quello sudamericano.

Anche al mondiale del 2002, di nuovo investito della maglia numero 10, crollerà addirittura nella fase a gironi con un'Argentina tra le più deludenti di sempre, con Marcelo Bielsa in panchina.

Prendere o lasciare, "El Burrito" era così. Ma le lacrime versate dai tifosi del River Plate quando si è ritirato, quelle non si cancellano.