Calcio

L'Avellino degli anni Ottanta

Riviviamo l'epopea lunga quasi un decennio dei Lupi irpini, con il picco raggiunto nella stagione 1986-87

Quando c'era l'Avellino in Serie A, quella sì che è nostalgia. Una squadra che come poche altre ha saputo segnare un'epoca, gli anni Ottanta in cui il calcio italiano era il migliore al mondo ma anche le piccole realtà potevano ritagliarsi un posto al sole.

L'Avellino, appunto: con la sua maglia verde, la vicinanza con il Napoli di Maradona (e che derby si giocavano!), i suoi stranieri di culto senza dimenticare gli italiani, futuri talenti anche a livello internazionale.

Nel 1986-87, forse, l'apice di questa parabola, destinata a chiudersi malamente proprio l'anno successivo.

Avellino, un decennio irripetibile

È il 1978 quando l'Avellino per la prima volta nella sua storia raggiunge la Serie A. Non se ne andrà più, come detto, per un decennio esatto.

È la "Legge del Partenio", uno stadio mitico o addirittura mitologico. Andare a giocare laggiù, in quell'impianto anche dal nome evocativo, la Partenope Dea locale, in certi casi risultava indigesto per le cosiddette big.

Decimo, dodicesimo, decimo, ottavo, nono, dodicesimo, undicesimo, undicesimo: questi i piazzamenti dei Lupi irpini nelle loro prime otto stagioni. Salvezze tranquille, a volte davvero in carrozza.

Del resto la struttura della squadra è di alto livello, ce ne saremmo accorti in tanti una volta che dall'Avellino certi giocatori avrebbero raggiunto proprio le big locali o del nord: da Tacconi a De Napoli, da Favero a Vignola a Ramon Diaz, anche gli stranieri che arrivano al Partenio sono di livello.

Che dire di Juary, l'attaccante brasiliano che andava ad esultare ballando attorno alla bandierina del calcio d'angolo? O di Geronimo Barbadillo, peruviano. E in difesa, il rocciosissimo Di Somma, uno che a momenti, stagione 1981-82, ci lascia la pelle in campo dopo uno scontro con un giocatore dell'Ascoli, rianimato per un pelo prima del peggio.

Il tutto in un terreno massacrato dal tremendo terremoto dell'Irpinia del 23 novembre 1980.

Quell'ottavo posto

Il miglior piazzamento nella storia dell'Avellino, comunque, è l'ottavo posto del campionato 1986-87. Una cosa quasi irripetibile, naturalmente sotto l'influenza della "Legge del Partenio": Milan battuto, pareggi con Napoli campione d'Italia e Juventus, vittoria sulla Roma, l'unica che riesce a vincere tra le big è l'Inter, che passa 1-0.

La stella adesso dell'Avellino è un attaccante che pure lui è la rappresentazione plastica degli anni Ottanta, l'austriaco Walter Schachner, bomber coi baffi già passato da Cesena e Torino. Per lui in realtà pochi gol, 4, due in meno di quelli di un altro simbolo di quell'irripetibile decennio in Serie A: Dirceu. Il brasiliano, formidabile jolly tra centrocampo e difesa, ne realizza 6. Un Dirceu vero giramondo del nostro campionato, tra Verona, Napoli, Ascoli e Como.

Il capolavoro di quella stagione però è un risultato davvero da leggenda, ottenuto tra l'altro fuori dal Partenio: il 15 marzo 1987 infatti l'Avellino va a Udine e come se niente fosse vince 6-2: doppiette di Paolo Benedetti e di Schachner, poi Alessio e Bertoni. Primo tempo 4-0, su cui lo stesso Schachner tornerà: "CI guardavamo in spogliatoio all'intervallo e non ci volevamo credere".

Bella rivincita per l'allenatore degli irpini, Luis Vinicio, "O Lione", eccellente attaccante sempre in Italia e in seguito tecnico soprattutto di squadre pericolanti o comunque della "sua" zona, il napoletano.

L'anno prima Vinicio era stato esonerato dall'Udinese, quindi nulla di meglio di questa rivincita. Tre anni per il brasiliano, propugnatore del calcio totale negli Anni Settanta, all'Avellino, tra il 1980 e il 1982 e in quella miracolosa stagione. Ottavo posto, roba mai vista.

Sarà anche il punto più alto nella storia del club, con Vinicio che verrà cacciato all'inizio della stagione successiva dopo 4 sconfitte in 5 partite e l'Avellino tornerà in B. Da allora non è mai più tornato tra i grandi.