barcellona inter 1-0

Calcio

Barcellona-Inter 1-0: dove nacquero gli eroi del triplete

Nella memoria collettiva del calcio, a restare impressi sono quasi sempre una vittoria, o almeno un gol. Molto raramente capita che entri nella storia un pareggio, come ad esempio Italia-Olanda del 2000, quasi mai una sconfitta.

Quasi, appunto. L'eccezione è in questo caso Barcellona-Inter 1-0 del 28 aprile 2010, semifinale di Champions League tra le più drammatiche che si ricordino, ma che alla fine permise ai nerazzurri di qualificarsi per la finale - poi trionfale - di Madrid.

Quello scambio Ibra-Eto'o

Se oggi i tifosi nerazzurri ricordano ancora con vivo piacere il 28 aprile del 2010, è per quanto era successo 9 mesi prima.

Il 27 luglio del 2009 l'Inter e il Barcellona si erano scambiati Ibrahimovic ed Eto'o, con lo svedese che approdava al Camp Nou e il camerunense che faceva percorso inverso.

L'Inter si privava del suo gioiello, valutato poco meno di 70 milioni, di cui 20 erano rappresentate dal cartellino di Eto'o.

Sulle prime sembrava uno scambio abbastanza equo con un vantaggio economico per l'Inter. Eto'o e Ibra erano praticamente coetanei, uno con 28 anni compiuti da poco e l'altro che li avrebbe compiuti a ottobre.

Tuttavia lo svedese sembrava un giocatore ancora in forte ascesa e ciò indusse il Barca a sottostimare notevolmente il valore del centravanti africano, i cui rapporti con Pep Guardiola erano ormai compromessi.

La storia ha poi raccontato una verità molto diversa. Eto'o era il "fit" perfetto per l'Inter di Mourinho, mentre l'adattabilità di Ibra al tiki-taka guardiolesco era un rischio sottovalutato, e che infatti non ha pagato.

"Se vieni tu all'Inter vinciamo tutto", gli aveva pronosticato Marco Materazzi. Così è stato, e la maiuscola prova da terzino fornita nella semifinale di ritorno di Champions è tra le sue gare più belle in carriera.

Con Eto'o, l'Inter passava da un play offensivo che catalizzava molto gioco, a un centravanti mobile, tecnico e sgusciante, che avrebbe poi dimostrato una gran disposizione al sacrificio.

Una disposizione che gli era peraltro abbastanza ignota, visto che al Barcellona uno dei problemi che avevano portato alla rottura con Guardiola era la scarsa voglia di spostarsi sull'esterno per lasciare il ruolo di centravanti a Messi.

Invece Mourinho lo avrebbe convinto con una certa facilità proprio a giocare da esterno offensivo. Magia persuasoria di Mou o voglia di rivalsa sull'ex maestro Pep? Probabilmente un po' di entrambe le cose.

Il precedente nella fase a gironi

Quel 28 aprile del 2010 l'Inter tornava al Camp Nou per la seconda volta nella stagione.

La prima era stata a circa 6 mesi prima, il 24 novembre del 2009. Era la quinta giornata del Gruppo F della fase a gironi, nella medesima edizione della Champions League. Pur tenendo Messi e Ibrahimovic in panchina per tutta la partita, il Barcellona aveva dominato vincendo 2-0, con gol tutti nella prima mezz'ora, di Piqué e Pedro (ancora lui).

Quella volta Mou aveva schierato l'Inter con il suo consueto 4-3-1-2 e Stankovic dietro Milito-Eto'o, ma uscendone con le ossa abbastanza rotte.

Mourinho aveva imparato bene la lezione, e per la semifinale di ritorno aveva da tempo approntato importanti cambiamenti alla squadra, passata al 4-2-3-1. Un modulo che esaltava un terzino-ala straripante come Maicon, avvantaggiato dalla grande mobilità di Eto'o e che aveva in Wesley Sneijder un tuttocampista offensivo a livelli stratosferici.

Barcellona-Inter: quando la difesa esalta

L'andata di San Siro era terminata 3-1 per i nerazzurri con gol di Sneijder, Maicon e Milito a stravolgere l'iniziale vantaggio firmato da Pedro (sì, proprio l'attuale attaccante della Lazio).

Al ritorno il Barcellona aveva annunciato battaglia, e il Camp Nou è uno stadio che sa intimorire gli avversari come pochi altri.

Ci si attendeva una partita difensiva da parte dell'Inter, anche perché l'imprinting di quella Inter era segnata dalla forza di un reparto arretrato straordinario, con l'immenso Samuel e Lucio che si completava benissimo con il collega argentino.

"In 10 si gioca meglio?"

Lo diceva il Barone Liedholm, tra il serio e il faceto. Secondo il leggendario tecnico svedese, in 10 si giocava meglio perché la squadra in superiorità numerica tende a lasciare più spazi in contropiede.

Italia-Olanda del 2000 e Inter-Barcellona del 2010 sono delle dimostrazioni che non è esattamente così, nel senso che si tratta di due esempi di match già battezzato come difensivo, ma che diviene esclusivamente difensivo dopo mezz'ora o poco più.

Il match del Camp Nou cambia radicalmente al 26' del primo tempo, quando Sergio Busquets approfitta di una ingenuità di Thiago Motta, che ha allungato un po' troppo la mano fino al suo viso, stramazzando per terra.

L'immagine di Busquets che sbircia il campo allargando per un istante le mani con cui si copriva il viso, per vedere se l'arbitro avesse estratto il rosso, è diventata un'icona di "furbizia" nel senso dispregiativo del termine. Soprattutto, una furbizia che infine non ha pagato.

Dopo l'espulsione di Motta, infatti, l'Inter diventa come un plotone di marines in missione. Eto'o gioca più di un'ora da terzino sinistro, ognuno capisce che è l'ora del sacrificio a ogni costo e il risultato è un match a senso unico, ma in cui raramente l'Inter va in grande difficoltà.

La parata-carriera di Julio Cesar

Solo uno, è il momento in cui si teme che l'Inter possa capitolare e arriva appena 5 minuti dopo l'espulsione di Thiago Motta. Sulla trequarti Yaya Touré vede Messi partire da destra e lo serve in verticale.

La pulce converge e, dalla metà esatta del semicerchio, lascia partire un sinistro destinato a morire all'angolino, sul secondo palo. Di gol così, del resto, Messi in carriera ne ha realizzati decine. Non quella volta, però. Julio Cesar si lancia in un tuffo incredibile, felino, e devia la sfera in calcio d'angolo.

Ancora oggi, a 13 anni da quella serata e a diverso tempo dal suo ritiro, gli interisti non perdono occasione per ringraziarlo. Se il Barcellona avesse segnato quel gol, a quelle condizioni la rimonta sarebbe stata più che possibile.

Invece no, anzi quella parata ha dato maggior convinzione a un gruppo già coeso e deciso a fare l'impresa. Impresa che, nonostante 1 tiro contro 15, 2 corner contro 9 e un possesso palla di appena il 24%, è riuscita.