Un cognome che, diciamocelo, ricorda la bellezza. E Claudio Bellucci era bello da vedere, capace di fare tutto con i piedi e persino di testa, lui alto poco più di un metro e settanta.
È stato un attaccante a cui le squadre si attaccavano, letteralmente, nei momenti di necessità per tirare fuori un gol, una giocata spettacolare per uscire dal pantano.
Non a caso è stato a lungo legato alle pericolanti, ai club che facevano su e giù tra A e B pur avendo numeri di alta scuola.
Romano di San Basilio, Bellucci è un prodotto del vivaio della Sampdoria.
Un grande vivaio, quello blucerchiato, che all'inizio degli anni Novanta cerca qualcuno che di lì a poco prenda il posto dei due mammasantissima Vialli e Mancini. Non perché siano vecchi, anzi: però la Samp con Paolo Mantovani era sempre stata all'avanguardia nello scoprire i migliori giovani italiani e lanciarli in prima squadra. Gente come Vierchowod e Lombardo, per dire, oltre ai due campionissimi.
Bellucci è dietro nelle gerarchie, nel 1993, quando Vialli già andato da un anno alla Juventus e in attacco per la Doria ci sono altri giovani come Nicola Amoruso o Mauro Bertarelli.
Claudio ha 18 anni e tutta la vita calcistica davanti: viene mandato in prestito al Fiorenzuola, in C-1, ma deve essere richiamato quasi subito perché Bertarelli si è fatto male.
Finito in rotazione giovanissimo, Bellucci trova la sua serata di gloria nella semifinale di ritorno di Coppa delle Coppe contro l'Arsenal, il 20 aprile 1995: una sua doppietta sembra poter ribaltare il 2-3 dell'andata a Londra, poi il gol di Schwarz, i supplementari e i rigori dove gli inglesi prevalgono.
"Ricordo che durante il riscaldamento nella mia mente mi ripetevo 'Pensa se entro e faccio goal' - ricorderà anni dopo Bellucci -. A pochi minuti dalla fine mister Eriksson mi fece entrare, c'era una punizione dal limite dell'area. Sul pallone andarono, giustamente, Mancini e Mihajlovic, mentre io ero a lato della barriera per andare sulla respinta del portiere, speravo in qualche palla da rubare in area. Alla battuta andò Mihajlovic che prese la barriera, la palla tornò a Mancini che calciò in porta, io ero sulla traiettoria del tiro, al limite del fuorigioco, e feci goal di testa, prendendo in controtempo il portiere. In quei due minuti non capii niente. Segnai sotto la gradinata Nord e mi ritrovai sdraiato sotto la Sud, dopo una corsa di 100 metri senza maglia, con le lacrime agli occhi, perché era il sogno di un ragazzino che si avverava, portare la Samp in finale. Quello che pensavo durante il riscaldamento era diventato realtà".
Lo spazio nella Samp per Claudio è comunque sempre poco. Così ecco la cessione in prestito al Venezia, in B, dove segna ben 20 gol in una squadra che cambia quattro allenatori, in puro stile-Zamparini.
Estate 1997, su di lui si fionda a sorpresa il Napoli, che è appena tornato in A. Bellucci è titolare indiscusso, ma gli azzurri sono un disastro e arrivano ultimissimi nonostante le 10 reti del bomber romano, che segna anche alle big, ma è tutto inutile.
Sono anni difficilissimi per il Napoli, che anche in B soffre da morire.
Quando sotto il Vesuvio arriva Schwoch, fenomenale bomber di categoria, Bellucci si ritrova. È di nuovo Serie A, nel 2000, ma ancora una volta la stagione successiva è disastrosa per gli azzurri, retrocessi e nemmeno con un grande contributo di Claudio, che capisce che è ora di togliere il disturbo.
Rimane comunque in Serie A, perché la categoria gli appartiene e se la merita. Su di lui piomba il Bologna, che ne fa anche qua l'attaccante di riserva, primo cambio di Beppe Signori e di Julio Cruz, del tutto intoccabile.
Bellucci non pianta grane, si mette a disposizione e non appena l'argentino viene ceduto guadagna spazio. È il 2003, l'allenatore è il suo concittadino Carlo Mazzone e Claudio diventa titolare. "Il primo anno col mister fu il momento più esaltante. Sono rinato come calciatore e come uomo - ammetterà -. Aveva capito le mie difficoltà, mi ripeteva ogni giorno che sarei potuto tornare come quello di Napoli, avevo voglia di rilanciarmi e Mazzone ebbe ragione: sono tornato in campo e non sono più uscito. Ed è riuscito anche a farmi giocare in coppia con Signori".
Purtroppo per lui anche qua il Bologna precipita in B, è il 2005 e Bellucci si è di nuovo issato in doppia cifra, punto di riferimento ormai stabile di una squadra che si ritrova tra i cadetti dopo aver perso uno spareggio-derby contro il Parma.
Le offerte non gli mancherebbero, ma l'attaccante di Roma preferisce rimanere in B da capitano dei rossoblù. Risponde con 44 gol in due stagioni, nonostante il Bologna non riesca a risalire in A. La sensazione insopprimibile di lottare contro i mulini a vento, chissà.
C'è solo una squadra che può portarlo via da Bologna, dalla rabbia per non poter riuscire a tornare tra i grandi: la Sampdoria. A 32 anni Bellucci si ritrova titolare per i colori con cui era cresciuto, anche lì un po' frustrato nelle intenzioni. I suoi gol a volte sono di pura rabbia, stilettate imprendibili per i portieri.
Nel 3-5-2 di Walter Mazzarri, in coppia con Antonio Cassano davanti, è una vera meraviglia. Del resto i piedi buoni si trovano da soli, senza bisogno di strani marchingegni. "Mazzarri, nei due anni insieme alla Samp, me lo diceva sempre. 'Siete tu e Cassano, magari torni l'80% delle volte tu, e il 20% lui'. Il primo anno segnai 12 gol io e 9 Antonio; il secondo 5 e 12: non è andata così male, anche se uscivo sfinito". Arriva un campionato sontuoso, sesto posto e qualificazione alla Coppa Uefa.
L'età comunque per Claudio inizia a picchiare duro, sotto forma di infortuni specialmente al ginocchio. La Sampdoria intanto nel suo ruolo ha preso Pazzini ed è un chiaro segnale. Poco male, Bellucci ha oggettivamente già dato tutto. Gli rimane un'ultima esperienza in Serie A con il Livorno, il suo ultimo gol nella massima categoria prima di chiudere del tutto con il Modena in Serie B.
Il presente parla di un ruolo come vice di Gianni De Biasi sulla panchina della nazionale dell'Azerbaigian. Esotico, ma qualcuno lo deve pur fare. Un po' come i gol quando nessuno ci riusciva.