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Calcio

Domenico Morfeo: il sinistro divino che faceva sognare

Quando ancora i fantasisti andavano di moda Domenico Morfeo era tra i più apprezzati.

Un piede sinistro capace di mettere il pallone dove voleva: anzi, dove volevano tutti, specialmente i suoi compagni.

Come ogni fantasista che si rispetti ha funzionato solamente a tratti, ma quando ci è riuscito per gli avversari era notte fonda.

Morfeo, semplice e "monello"

Ha vinto pochissimo, Morfeo: uno scudetto con il Milan e un titolo europeo con l'Italia under-21 allenata da Cesare Maldini.

In compenso ha illuminato come pochissimi: di lui alcuni colleghi, anche a distanza di anni, ricordano gli assist chirurgici, le giocate spettacolari, le pennellate mancine, meglio di altri nomi più di grido.

Perchè questo era Domenico "Mimmo" Morfeo, l'amico che tutti vorrebbero in squadra con quel coro che gli dedicavano allo stadio, ripreso dalla sigla della vecchia serie tv "Le avventure di Pinocchio" con Nino Manfredi e Gina Lollobrigida: come a volergli dare un tocco quasi infantile, semplice e un po' monello.

Piccolo di statura, il fisico minuto in generale, in più un tono di voce non necessariamente da tenore: però con il piede sinistro, quello delle beffe, di Maradona e di Messi, ma anche di altri geniacci alla Beccalossi, Morfeo è stato un giocatore su cui costruire una squadra, se possibile in coppia con qualcun altro capace di intuire le sue magie.

Altrove, rinchiuso in schemi fissi o comunque troppo soffocanti, era come se si deprimesse o comunque rimanesse avulso dalla manovra.

Pensiamo all'anno al Milan, in prestito da una Fiorentina che non l'ha mai davvero capito, concluso con uno scudetto, ma "prigioniero" del 3-4-3 di Alberto Zaccheroni che lo relegava all'ala sinistra nel tridente. Segnò un solo gol in quella stagione finita con lo scudetto, un colpo dei suoi, un sinistro al volo quasi da fuori area, deviato da un difensore del Bologna e buono per una rocambolesca vittoria 3-2.

Oppure all'Inter di Cuper, quando il tecnico argentino non poteva abiurare dal suo 4-4-2 e mettere Morfeo esterno di centrocampo, delimitandone il raggio d'azione. No, non poteva durare così, e infatti anche in nerazzurro fu un mezzo flop.

Grandi piazze? Meglio di no. Però già si capiva che i numeri 10 stavano passando di moda.

Morfeo all'Atalanta e al Parma

Il calcio di Domenico Morfeo era pane e salame: bisognava dargli una squadra, costruirgliela addosso. Ma quale allenatore ne sarebbe stato in grado?

Forse qualche "irregolare" come Emiliano Mondonico che all'Atalanta, squadra dove Mimmo era cresciuto, mise lui dietro a un giovane attaccante dalle grandi potenzialità offensive come Pippo Inzaghi: stagione 1996-97, Superpippo capocannoniere della Serie A con la Dea e Morfeo dietro di lui a illuminarlo.

Chiedete a Inzaghi senior chi è stato il più forte con cui abbia mai giocato, o in generale uno dei migliori, e vi risponderà, lui che comunque ha vestito anche le maglie della Juventus e del Milan: "Mimmo".

Partita-manifesto, Atalanta-Sampdoria 4-0, tripletta di Inzaghi e gol di Morfeo nel giorno del cinquantesimo compleanno di Mondonico.

Era l'epoca in cui Domenico era un pilastro dell'under-21, uno di quelli che però con l'azzurro dei grandi non ha mai legato.

Suo il rigore decisivo nella finale dell'Europeo del 1996, in Spagna e contro i padroni di casa: pallone da una parte, portiere dall'altra, con il suo piede sinistro vellutato, come se fosse la cosa più semplice del mondo. Aveva appena vent'anni, era uno dei più giovani del gruppo.

Cesare Maldini stravedeva per lui, scheggia impazzita di un attacco già pieno di talento tra Vieri, Totti, Del Piero e Delvecchio. Tutti diventati titolari in nazionale tranne appunto Morfeo: pazienza, verrebbe da dire. È stato comunque bello.

Anche a Parma se lo sono goduti. È stata la squadra dove si è fermato di più cinque anni anche qua illuminando, nelle giornate di grazia. In un'epoca difficile per i Ducali, alle prese con il post-crac della Parmalat e della famiglia Tanzi, i tifosi andavano allo stadio solamente per vedere il loro piccolo fantasista, sperando in qualche magia.

Perchè con Morfeo, cognomen omen, si poteva sognare.