Più passa il tempo e più siamo testimoni di un'ingiustizia incredibile: sempre meno ragazzi conoscono la favola della Danimarca del 1992. Ai giovani viene raccontato della Premier del Leicester, della Grecia del 2004, del sogno della Croazia contro la Francia.
E la Danimarca? Eh, ormai son più di 30 anni. Di quella commozione inizia a esserci meno traccia, però il racconto resta superlativo, al di là di ogni (davvero) possibile immaginazione. Del resto, come ha fatto una squadra a vincere un Europeo senza neanche qualificarsi alla fase finale? La risposta è una poesia. Che prima della fine, ha un inizio e uno svolgimento. Soprattutto: ha un percorso ancor più sorprendente.
Il 26 giugno del 1992, un pezzo di storia del calcio è stato scritto e cucito addosso alla nazionale danese. Ne hanno fatto un film, decine di documentari. Nulla però potrà riscrivere l'emozione di quel momento. Per quanto speciale sia stato il finale, il viaggio non è mai stato da meno.
Ecco, reload: come si è arrivati a una situazione del genere? La risposta, come spesso accade in casi in cui si rompe la normalità sportiva, si trova nella politica. Anzi: nella totale assenza della politica. Una delle migliori generazioni di calciatori della ex Jugoslavia, regolarmente qualificata per l'Euro che si sarebbe disputato in Svezia, ha visto il proprio paese sanguinare (e disgregarsi) in una guerra civile che ha segnato la realtà europea e mondiale negli anni '90.
L'epica racconta questo: che i giocatori danesi erano in vacanza poco prima del torneo, e che inaspettatamente hanno dovuto fare i bagagli per andare subito sui terreni svedesi. Ma non è andata esattamente così. Certo, più di un membro della squadra danese si era già fatto qualche bagno tra Italia e Spagna, ma la Danimarca era consapevole che la situazione avrebbe potuto ribaltarsi. Da un momento all'altro.
Alla fine del 1991, la selezione danese si era piazzata al secondo posto nel gruppo di qualificazione dietro alla Jugoslavia, proprio quando la guerra era lì per iniziare. L'UEFA, inizialmente, si era dissociata dalle sanzioni delle Nazioni Unite contro il paese, in attesa di sviluppi. Pertanto, già nel dicembre 1991, la Danimarca sapeva che, in caso di squalifica dei balcanici, sarebbe stata la sostituta nel torneo.
La conferma arriva il 30 maggio 1992, con la Risoluzione 757 del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, che escludeva la Jugoslavia dalla partecipazione alle competizioni sportive internazionali. Ecco perché sì, è vero, è proprio vero: la Danimarca si è qualificata per il torneo appena dieci giorni prima del suo inizio.
Se non ricordate, considerate intanto questo: l'Europeo di calcio in Svezia è stata l'ultima edizione disputata con otto squadre, divise in due gruppi da quattro. Nel Gruppo A, la Danimarca si sarebbe trovata di fronte all'ospitante Svezia e a due squadre in teoria favorite: Francia e Inghilterra. Nel Gruppo B c'erano Germania (riunificata e con il titolo di campione del mondo), Olanda (campione d'Europa), Scozia e URSS, che dopo la sua dissoluzione alcuni mesi prima aveva iniziato a competere come CSI, Comunità degli Stati Indipendenti.
Nella prima giornata, la Svezia pareggia 1-1 contro la Francia nella partita inaugurale, giocata il 10 giugno a Stoccolma. Il giorno successivo, la Danimarca pareggia 0-0 contro l'Inghilterra. Tutto rimane in equilibrio.
La seconda giornata si disputa interamente il 14 giugno. Francia e Inghilterra si sfidano in un grigio pareggio senza gol, mentre la Danimarca, ancora a secco di gol, perde di misura contro la Svezia. Ah, in tutto ciò, nessuno in pratica vedeva la Danimarca come più di un'outsider, qualificatasi per caso, con il loro allenatore (Richard Moller Nielsen) sotto pressione e senza la loro stella indiscussa, l'allora giocatore del Barcellona Michael Laudrup, che aveva deciso di non partecipare al torneo a causa dei suoi contrasti con lo stesso tecnico.
Per di più, i danesi dovevano giocarsi la qualificazione in semifinale contro la Francia di Jean-Pierre Papin, una squadra che, sebbene non stesse brillando, era tra le più forti di tutte.
Come in ogni grande storia, un imprevisto può generare persino un'impresa: nessuno l'aveva immaginato, però arriva. Arriva la vittoria della Danimarca contro la Francia. Per 2-1. A Malmö. Henrik Larsen apre il punteggio prima del decimo. Al minuto 60, Papin pareggia. Poco prima dell'80', il 2-1 finale porta la firma di Lars Elstrup, meraviglioso ed esotico giocatore dell'Odense. Lo stesso 17 giugno, la Svezia vince con lo stesso punteggio contro l'Inghilterra. In questo modo, le due nazionali nordiche eliminarono rispettivamente francesi e inglesi. Spettacolo.
Il 21 giugno, la nazionale campione del mondo, la Germania, sconfigge la Svezia per 3-2 in una partita intensa, incredibile, inattesa. Stoccolma è orgogliosa dei suoi ragazzi, contro i tedeschi sarebbe stato impossibile per chiunque. Tutti pensavano alla ripetizione di un grande classico per la finale, dato che l'Orange stava dimostrando di essere imbattibile (aveva persino battuto la Germania per 3-1, chiudendo così la prima fase).
L'indomani, all'Ullevi di Göteborg, il calcio aveva però in serbo un altro epilogo inaspettato. Un'altra grande semifinale, un altro Davide e un altro Golia. E mentre tutti aspettavano il rematch di Olanda-Germania, la Danimarca non solo diede del filo da torcere, ma siglò il suo passaggio ai rigori, con un Peter Schmeichel (già portiere del Manchester United all'epoca) semplicemente eroico nella serie, fino alle mani sul rigore decisivo di Marco Van Basten.
La partita si era conclusa in parità, 2-2. Henrik Larsen aveva aperto il punteggio ancora una volta nei primi minuti. Poi Bergkamp, quindi e ancora Larsen. Il 2-1 si era mantenuto per gran parte del match fino a quando Frank Rijkaard trova il guizzo all'88'. Sembrava finita, ma gli eroi non sono solo forza bruta, sono soprattutto cervello: la Danimarca non si scompone, resiste nei tempi supplementari e passa ai rigori grazie a una calma olimpica, un portiere fuoriclasse. E un pizzico di fortuna, che mica guasta.
La data: il 26 giugno 1992. Il luogo: lo stadio Ullevi di Göteborg. I protagonisti: la Germania, fresca campione del mondo, riunificata dopo quasi cinquant'anni, e la Danimarca, sorprendente finalista, senza nulla da perdere.
Richard Moller Nielsen schiera Peter Schmeichel in porta, Lars Olsen, Torben Piechnik e Kent Nielsen al centro della difesa, John Sivebæk sul lato destro e Kim Christofte sul sinistro; Kim Vilfort e John Jensen a centrocampo, con Henrik Larsen un po' più avanti. In attacco giocano dall'inizio Brian Laudrup e Flemming Povlsen. Al minuto 66, Claus Christiansen sostituisce John Sivebæk.
Dall'altra parte, Berti Vogts schiera Bodo Illgner in porta; cinque difensori: i laterali Stefan Reuter e Andreas Brehme e i centrali Jürgen Kohler e Thomas Helmer, con Guido Buchwald come libero; tre centrocampisti: Mathias Sammer, Stefan Effenberg e Thomas Hassler; due attaccanti: Karl-Heinz Riedle e Jürgen Klinsmann. All'intervallo, Thomas Doll subentra a Sammer e all'80', Andreas Thom sostituisce Effenberg.
La partita? Si inclina a favore della Danimarca prima del previsto. Al minuto 18, John Jensen mette l'1-0 sul tabellone: è un destro da fuori potentissimo, che parte basso e poi si alza. Sorprende il portiere come fa una preghiera esaudita, è il segno della magia attorno a questa squadra. La Danimarca per tutta la partita è una fisarmonica: riesce ad attaccare e difendere con coraggio e attenzione. Soprattutto quest'ultima: è fondamentale contro gli attacchi tedeschi. Li vanifica. Li assottiglia. Li annulla. Tutto il resto è Peter Schmeichel, che arriva ovunque.
Al 78', Kim Vilfort emette la sentenza sulla finale e sul torneo: è il suo 2-0. Ed è pure una perla: palla in profondità, controllo tra due difensori e la sfera che - con un semplice tocco di destro - si posiziona perfettamente per sganciare il mancino rasoterra. Sembra innocuo, invece è velenoso: tocca il palo interno quel tanto che basta per non trovare ulteriori deviazioni. E' fatto per entrare in porta. Per consegnare la vittoria al popolo danese.
La Danimarca conquista così un Europeo per cui non era nemmeno qualificata. Lo fa inoltre senza il suo miglior giocatore e sorprendendo squadre molto più forti sulla carta. Ancora oggi, tre decenni dopo, quella vittoria continua a sorprendere in certo modo, dimostrando che il calcio non ammette pronostici al cento per cento. Che poi è qui, è sempre qui, che risiede gran parte della sua grandezza.