foggia di zeman

Calcio

Il Foggia di Zeman ci ha fatto sognare

"Zemanlandia" è viva e lotta insieme a noi.

Basta la parola per evocare un allenatore, d'accordo, ma soprattutto una squadra: Zdenek Zeman e il Foggia a cavallo tra gli anni Ottanta e Novanta, un capolavoro costruito nel tempo, con pazienza e con qualche geniale intuizione di mercato, dalla B alla A e in generale nel cuore di tutti i tifosi non solo dei "Satanelli".

Foggia, Zeman e il 4-3-3

L'1 settembre del 1991 l'Italia scopre, o riscopre, il Foggia: è il giorno della prima giornata di campionato e i rossoneri pugliesi sono di scena nientemeno che a San Siro contro l'Inter.

Pochissimi danno fiducia a questa squadra neopromossa, composta da gente sconosciuta e allenata da un tecnico che fuma come una ciminiera, parla poco e con un tono di voce bassissimo: Zeman, appunto.

E invece Inter-Foggia finisce 1-1, i nerazzurri non ci capiscono quasi nulla e vanno sotto per via di un gol del centravanti Francesco "Ciccio" Baiano e rimediano a fatica solo con una rete di Ciocci.

Il Foggia gioca un calcio spregiudicato: lo schema-base è un 4-3-3 in cui tutti corrono come matti, merito anche di una preparazione fisica affinata con esercizi spartani ma efficaci, come le ripetute sui gradoni dello stadio Pino Zaccheria o i chilometri macinati tenendo sulla spalla un altro compagno.

Ci sono sempre dei secchi pronti alla bisogna, per chi volesse vomitare, e succede spesso. Un 4-3-3 in cui la fase offensiva è fatta da rapidi triangoli e dalla ricerca esasperata della profondità, un regista di centrocampo a dettare i ritmi e due terzini inesauribili: in più in porta c'è Franco Mancini, un unicum per l'epoca, un numero uno con licenza di uscire fino alla trequarti per rinviare o per impostare, addirittura.

Le partite del Foggia di Zeman sono tutte estremamente divertenti. La gente si esalta vedendo i "Satanelli", che mancavano dalla massima serie da 13 anni, giocarsela alla pari anche con le big, con il rischio di venire asfaltati ma sempre a viso aperto: memorabile in tal senso il 2-8 che i pugliesi beccano in casa dal Milan all'ultima giornata di quella stagione, dove comunque arriva una comoda salvezza.

A scherzare troppo col fuoco ci si brucia, naturalmente.

Tuttavia quella squadra venuta su dalla B con giocatori sconosciuti e comprati per pochi spiccioli inizia a intrigare. E i calciatori diventano subito obiettivi di mercato delle grandi: su tutti l'attaccante esterno di sinistra nel tridente, un biondino che faticava a segnare in C1 e poi trasformato da Zeman in bomber micidiale, Giuseppe "Beppe" Signori.

Però impressionano tutti, dal terzino Maurizio Codispoti, uno che si "autolancia" da solo, oppure il centrocampista russo Igor Shalimov, senza dimenticare l'altra freccia del tridente, l'ala destra Roberto "Rambo" Rambaudi.

Come spesso succede in questi casi, le grandi della A saccheggiano il Foggia. Il presidente del club, l'imprenditore nel settore cerealicolo Pasquale Casillo, incassa ma deve ricostruire.

Ed è qui che si compie il vero capolavoro di Zeman e della sua "Zemanlandia": ripartire da zero con gente ancora più sconosciuta per cercare di nuovo il miracolo. Del resto il fuoriclasse è proprio lui, Zeman: anzi, "Zemàn", come lo chiamano a Foggia.

Cambiare tutto per non cambiare niente

Gradoni, corsa, applicazione tattica feroce, dei principi di gioco immutabili: possono cambiare i giocatori, ma se le basi rimangono è più facile ricostruire. Casse piene, ma pancia non ancora piena, per il Foggia nelle stagioni successive, da affrontare remando controcorrente ma cercando di mantenere la propria identità.

E in effetti già il campionato 1992-93 è un piccolo capolavoro: i nomi nuovi sono il centrocampista centrale Luigi Di Biagio, l'attaccante Pierpaolo Bresciani o l'olandese Bryan Roy, il cui acquisto è "mediato" da un ragazzotto nato a Nocera Inferiore ma trasferitosi vicino ad Amsterdam da giovanissimo assieme alla famiglia per gestire una pizzeria, e che si chiama Cosimo "Mino" Raiola.

Il 4-3-3 non cambia, l'avvio è stentato ma una volta trovata la quadra il Foggia non lo ferma più nessuno. Lo stadio Pino Zaccheria è una bolgia, cade la Juventus 2-1, la Lazio dove adesso gioca Signori, mentre il Milan campione d'Italia stavolta è bloccato sul 2-2.

E non è finita perché l'anno successivo ancora con Zeman il Foggia chiude a metà classifica. Di nuovo ha dovuto comprare per tappare i buchi lasciati dalle cessioni, ma ha pescato molto bene e a buon mercato: Giovanni Stroppa, Massimiliano Cappellini oppure il difensore argentino José Antonio Chamot. Tutti funzionali al gioco dell'allenatore boemo, che alla fine del campionato 1993-94 passa all'incasso.

Stavolta tocca a lui lasciare la sua creatura, portata dai bassifondi della B a un passo addirittura dalla Coppa Uefa, con la qualificazione sfumata all'ultima giornata di quel campionato per via dello 0-1 in casa con il Napoli.

Non lo si rivedrà più il Foggia a quel livello. Anzi, presto arriveranno le retrocessioni e i fallimenti. Tuttavia "Zemanlandia", quel parco-giochi creatosi con giocatori di culto, rimarrà per sempre.