Sono passati 41 anni e spiccioli, da quel 5 luglio 1982, eppure il ricordo di Italia-Brasile 3-2 è ancora vivo non solo in chi vi partecipò in prima persona, in campo come davanti alla TV o con un orecchio sulla radiolina.
Proviamo a rivivere insieme quella giornata così memorabile.
Secondo la narrazione sportiva del calcio nostrano, siamo un popolo che tira fuori il meglio di sé nei momenti di difficoltà.
Tale narrazione è alimentata grosso modo da due grandi trionfi, gli ultimi due mondiali vinti dalla Nazionale Azzurra: quella del 1982 e quella del 2006. La maggior parte di voi ricorderà personalmente quella di Lippi, in cui l'Italia ancora scossa dallo scandalo calciopoli riuscì a compattarsi in un modo inatteso quanto straordinario.
Secondo molti osservatori, quell'Italia aveva diversi punti in comune con quella del 1982.
Anche allora, infatti, Bearzot aveva compattato una squadra che aveva diversi problemi, ma l'intero movimento non aveva ancora superato del tutto lo scandalo di un paio di anni prima.
Uno scandalo che aveva colpito in maniera violenta uno dei calciatori più rappresentativi del calcio italiano, anche prima di quel mondiale: Paolo Rossi.
"Pablito", come era stato soprannominato dopo il suo exploit ai mondiali di Argentina del 1978, in cui da 21enne aveva segnato 3 gol, era stato squalificato fino a 2 mesi prima.
Aveva fatto in tempo a tornare per le ultime 3 partite del campionato, vincendo anche lo scudetto con la casacca della Juventus, che gli aveva dato fiducia ingaggiandolo nel periodo della squalifica.
Per avere un'idea di che personalità avesse il CT Enzo Bearzot, si pensi che per fare spazio a Paolo Rossi escluse dai convocati per il Mondiale di Spagna '82 il romanista Roberto Pruzzo, ovvero il capocannoniere degli ultimi due campionati con 18 e 15 reti.
Una mossa, questa, che gli aveva inimicato non solo i sostenitori giallorossi, ma buona parte dell'opinione pubblica.
Pensate anche a cosa dovette subire Bearzot dopo le prime 3 partite del primo girone eliminatorio, quando l'Italia non andò oltre tre scialbi pareggi con Polonia, Perù e Camerun, e con un Rossi ancora più scialbo. Pablito vagava per il campo come bloccato, sicuramente l'ombra di se stesso.
L'Italia aveva superato comunque il girone, pur tra qualche dubbio che qualche anno più tardi sollevò il compianto Oliviero Beha. Ad ogni modo, la bizzarra formula di quel mondiale non prevedeva una vera fase a eliminazione diretta, ma una seconda fase a gironi che avrebbe prodotto le 4 semifinaliste.
Per una strana ironia della sorte, da seconda del gruppo 1 l'Italia venne accoppiata alla seconda del gruppo 3 e alla prima del gruppo 6. Il problema è che queste due squadre erano Brasile e Argentina, ovvero due tra le più grandi favorite del torneo.
Gli azzurri avevano fatto un mezzo miracolo contro l'Albiceleste, atterrata con due gol di Tardelli e Cabrini e con Claudio Gentile che si era portato in albergo, come trofeo, un pezzo della casacca di Diego Armando Maradona. Non sarebbe stato l'ultimo.
Sempre per quel bizzarro regolamento, dopo avere battuto l'Argentina l'Italia era comunque costretta a fare altrettanto con il Brasile. Infatti i verdeoro avevano a loro volta sconfitto gli argentini per 3-1, dunque con una differenza reti migliore rispetto al 2-1 ottenuto dagli azzurri. Serviva, pertanto, una vittoria contro una squadra che fino a quel momento aveva solo vinto, segnando 13 gol e subendone 3.
La partita del destino si gioca allo Stadio Sarrià alle 17 del 5 luglio 1982. Già questa, a ripensarci oggi, era una mezza follia per le temperature che si generano a Barcellona in questo periodo dell'anno. I negazionisti del cambiamento climatico possono fare finta di non aver letto quest'ultimo capoverso.
Nel bollente catino del Sarrià, stadio oggi demolito ma che al tempo ospitava le partite casalinghe dell'Espanyol, l'Italia affronta un Brasile che Telè Santana guidava verso un calcio disinibito, e che non aveva una grossa cura della fase difensiva, diciamo così.
La prova si ha dopo 5 minuti. Con la consueta eleganza, Bruno Conti cambia gioco di esterno trovando Cabrini sulla sua fascia di competenza, la sinistra. Il terzino juventino stoppa la palla, avanza e lascia partire un cross velenoso, che taglia l'area verso il secondo palo.
Qui, al vertice dell'area piccola, piomba con leggiadria proprio lui, Pablito, che incrocia di testa fulminando Valdir Peres. Che non era questo gran fenomeno in porta, ma non avrebbe potuto farci nulla.
Un ringraziamento particolare va però a Leovegildo Júnior, grandissimo giocatore ma che aveva colpevolmente dimenticato di seguire Rossi.
Una spettacolare verticalizzazione di Zico per Socrates aveva prodotto l'1-1, che Zoff prende sul suo palo ma non si può considerare troppo colpevole, considerando che il leggendario numero 8 brasiliano avrebbe potuto anche crossare, da quella posizione.
Tutto da rifare, ma ci pensa ancora una volta Júnior, che al 25' si riaddormenta su un comunque pericoloso passaggio in orizzontale di Cerezo, sulla sua trequarti. Sulla palla si avventa di nuovo Rossi, che dopo una breve corsetta in avanti con la palla, calcia secco in porta battendo nuovamente Valdir Peres. Non è solo il 2-1, è la certificazione di un centravanti pienamente recuperato. "Fisicamente stavo bene anche prima, a mancarmi era solo un po' di fiducia", avrebbe detto in seguito il numero 20 azzurro.
Il match prosegue in un contrasto di stili di gioco che non può che portare a un calcio gradevole e spettacolare. Il Brasile gigioneggia, spreca tanto e concede ancora di più. Nel frattempo, Claudio Gentile ha conquistato un altro trofeo personale: un frammento della casacca di Zico.
Si arriva al secondo tempo, ma a metà della seconda frazione di gioco, Paulo Roberto Falcao ci tira un brutto scherzo. Converge al limite dell'area e, di sinistro, calcia in porta.
Zoff sembra sulla traiettoria, ma c'è una impercettibile deviazione di Bergomi che lo mette fuori causa. Siamo al minuto 68 e sembra che il Brasile sia ormai sulla strada verso la semifinale.
Ma la squadra di Santana, come detto, non era proprio di quelle capaci di gestire un risultato. Sa e vuole fare un solo tipo di calcio, quello votato all'attacco.
L'Italia rischia diverse volte ma ha delle praterie in contropiede. Sei minuti dopo il pareggio di Falcao, conquistiamo un calcio d'angolo da sinistra. Sulla bandierina va come al solito Bruno Conti, che calcia uno spiovente a rientrare.
C'è un contrasto di testa e la palla casca verso il limite dell'area. Marco Tardelli ci si proietta con prontezza, non fa nemmeno toccare terra alla sfera e calcia di sinistro.
Sulla traiettoria, al limite dell'area piccola, c'è ancora l'uomo del destino. Pablito è lasciato ancora una volta sola dall'indifendibile difesa brasileira, ed è gol.
Eravamo tutti talmente felici da non accorgerci dello svarione di Nando Martellini, che nella concitazione battezza come "pareggio" il 3-2 di Pablito.
Il nostro centravanti aveva fatto tripletta, una tripletta di quelle che danno l'immortalità comunque vada a finire il Mondiale.
Poi però Rossi segnerà anche in semifinale e in finale, cementando quell'immortalità che purtroppo non è stata letterale.
L'Italia segna un altro gol con Antognoni, che viene annullato per un fuorigioco come minimo dubbio. Anni dopo, l'arbitro israeliano Abraham Klein ammise che aveva sbagliato ad annullare quel gol, che aveva sbagliato a fidarsi del suo guardalinee.
Con il VAR sarebbe finita 4-2, ma con il VAR ci saremmo persi un altro di quei momenti che fermano il tempo, che chi ha vissuto allora rivive ancora oggi ogni volta che gli capita di riguardare l'azione.
Parlo del colpo di testa di Oscar, che raccoglie la velenosa parabola scagliata da Eder e schiaccia di testa sul primo palo. Zoff, il quarantenne Zoff, la blocca sulla linea con un balzo felino.
Istanti lunghissimi, prima del sospiro di sollievo.
L'Italia batte una delle più forti, ma anche superficiali e presuntuose, versioni che si siano mai viste del Brasile.
Polonia e Germania Ovest sarebbero state poi le tappe conclusive di un cammino trionfale quanto inatteso. E i bambini degli anni '80 avevano un nuovo idolo, i cui gol apparentemente facili erano bellissimi da riprodurre nelle piazzette e nei cortili, di quell'Italia assolata e un po' più spensierata.