Ogni finale persa è come una piaga e raccontarla diventa il classico coltello che vi infierisce. Nel caso di Juventus-Milan di Champions League 2003, però, il rimpianto bianconero assume connotati particolari e che provocano ancora un certo dolore ai tifosi, seppure a ormai 20 anni di distanza.
Ricordare la finale di Champions League 2002/2003 ha un sapore ancora più amaro oggi, e non solo per i sostenitori della Juventus.
In quella stagione, infatti, non assistemmo soltanto a una finale tutta italiana, ma a una edizione in cui 3 semifinaliste su 4 appartenevano alla nostra Serie A.
E la presenza di Juventus, Milan e Inter tra le prime 4 d'Europa non appariva estemporanea come è stato nell'edizione da poco conclusa, con l'Inter finalista e il Milan semifinalista.
Allora le italiane erano legittimamente previste tra le big, anche perché i grandi campioni in Serie A ci venivano ancora, e non solo per svernare a fine carriera o per mettersi in mostra prima di spiccare il volo alla volta di Spagna o Inghilterra, ma per rimanerci.
Era la Serie A di Shevchenko e Rui Costa, di Trezeguet e Del Piero, di Vieri e Crespo.
Altri tempi, altri equilibri economici, e non serve essere nostalgisti per identificarli come migliori rispetto a oggi.
Gli squilibri c'erano allora come oggi, ma quelli odierni sembrano molto più marcati. E sarebbe banale identificare questa affermazione come semplice bias cognitivo di quelli per cui i tempi passati erano migliori a prescindere, poiché la spiegazione delle storture di questo calcio non può esaurirsi nel fatalista "una volta i prepotenti coi soldi li facevamo noi".
La Juve del Lippi-bis era tostissima, forse non ai livelli di intensità della versione originale, ma più completa.
Il campionato se lo era mangiato, chiudendo con 7 punti di vantaggio sull'Inter e ben 11 sul Milan. Questo distacco abissale dai rossoneri introduce bene l'argomento dei pronostici, perché è proprio lì che il ricordo di questa finale diventa più amaro, per chi ha il cuore bianconero.
Il Milan non era inferiore alla Juve quanto il distacco in campionato farebbe pensare, ma in finale partiva come chiara underdog, non nettissima come l'Inter 2023 contro il City ma chiara.
Inoltre il Milan era giunto alla finale pareggiando quasi sempre, nella fase a eliminazione diretta. 0-0 nell'andata con l'Ajax, evitando poi l'eliminazione al 92' del ritorno, con il famoso gol in coabitazione tra Pippo Inzaghi e Jon Dahl Tomasson, che spinse la palla in rete quando non aveva ancora oltrepassato la linea. Senza quel gol, in semifinale con l'Inter sarebbe andato l'Ajax.
Poi c'era stato il doppio pareggio proprio con i cugini, e la finale guadagnata solo in virtù del gol segnato "fuori casa".
La Juve aveva invece neutralizzato nell'ordine Barcellona e Real Madrid.
I blaugrana erano stati ostacolo meno duro del previsto, essendo in un'annata abbastanza travagliata con 3 cambi di allenatore.
Il Real Madrid era invece stra-forte, con Ronaldo il fenomeno, Raul, Casillas, Roberto Carlos, Guti e poi lui, Zinedine Zidane.
Il fuoriclasse francese era stato ceduto due anni prima proprio dalla Juve, e nel suo primo anno a Madrid aveva messo la firma sulla Champions League con un gol leggendario in finale.
Nel primo confronto con la sua ex squadra, però, si dimostrò che la sua cessione non era stato un affare soltanto per i Blancos. Con i soldi di Zidane la Juve aveva preso Buffon, Thuram e Nedved, diventando meno funambolica ma più solida e feroce.
Il ritorno della semifinale con il Real Madrid era un autentico capolavoro, un 3-1 che ribaltava l'1-2 subito al Bernabeu. Di Del Piero, Trezeguet e Nedved le firme, ma il biondo ceco si fece ammonire nei minuti conclusivi, saltando così la finale per squalifica.
Negli sfottò dei milanisti è entrato nella storia il famoso "Se c'era Nedved", ma è qualcosa di non troppo lontano dalla verità. La "Furia Ceca" era un giocatore irresistibile, un trascinatore vero, e la sua assenza in finale era una vera sciagura.
Lippi deve cercare un modulo per far sentire meno possibile l'assenza di Nedved, e si inventa questo 4-4-2 con Montero terzino sinistro, deputato più che altro al controllo di Shevchenko, e una mediana muscolare con Davids e Tacchinardi.
Le scelte iniziali non sembrano pagare, perché il Milan appare scatenato soprattutto con Sheva e Montero va diverse volte in sofferenza. Poi Lippi si corregge inserendo Birindelli per lo stesso Tudor a fine primo tempo, ma la musica non cambia.
Il Milan è leggermente più pericoloso della Juve, ma anche i bianconeri hanno diversi match point. Uno di questi è clamoroso, con la traversa colpita da Antonio Conte durante il supplementare, in tuffo di testa.
Ma il vero tema di questa grande serata vissuta all'Old Trafford di Manchester è la sfida tra i due migliori portieri al mondo, al tempo.
Buffon e Dida sono letteralmente insuperabili, lo juventino ne prende una su testata di Inzaghi nel primo tempo che, a guardarla oggi, ci si chiede ancora come abbia fatto.
E anche il brasiliano del Milan era nel miglior momento della carriera, quello in cui era capace di trasmettere una enorme sicurezza ai compagni.
La notte dell'Old Trafford era un incrocio di molte storie, come ad esempio quella di Carlo Ancelotti, che era approdato al Milan dopo la negativa esperienza sulla panchina della Juventus.
Alcune frange dei tifosi bianconeri non lo avevano mai accettato, con i tristemente famosi striscioni del tipo "un maiale non può allenare".
E il "suino" che non poteva allenare infiocchetta una partita perfetta dei suoi, indovinando quasi tutte le scelte e puntando su una superiore qualità di palleggio rispetto ai bianconeri.
La sua vittoria sarà una vera e propria rivincita nei confronti di una tifoseria che non lo aveva mai amato.
E anche per Filippo Inzaghi, ceduto due anni prima insieme a Zidane, la finale dell'Old Trafford aveva il dolcissimo sapore della rivalsa.
Nella rivalità ormai insostenibile con Ale Del Piero, la Vecchia Signora aveva scelto quest'ultimo, così "Superpippo" era finito al Milan, dove avrebbe scritto pagine indimenticabili di storia rossonera.