Calcio

Manchester United-Bayern Monaco, Champions League 1998/99: la rimonta del millennio

Ci sono partite che sono diventate archetipi. L'archetipo di rimonta, per esempio, è la finale di Champions League 1999 tra Manchester United e Bayern Monaco.

Nessuna rimonta è come questa

Negli anni ci sono state rimonte ancora più clamorose, come quella del Barcellona nel 2016/17 contro il PSG, quando i blaugrana fecero 6-1 al ritorno dopo aver subito un secco 0-4 all'andata.

Ma erano ottavi di finale, mentre quanto accaduto nella partita che stiamo per richiamarvi alla memoria era in finale. Un dettaglio non da poco ma che, unendo i puntini con altri dettagli, compone qualcosa di epico.

Manchester United-Bayern Monaco: perché è una finale unica

Era l'ultima finale del vecchio millennio, e questo già contribuiva a rendere un po' speciale l'evento.

Prima volta di una inglese in finale dopo l'Heysel

Inoltre, si trattava della prima presenza di una squadra inglese in finale di Coppa dei Campioni/Champions League dopo i luttuosi fatti dell'Heysel.

Dopo la finale del 1985 tra Juve e Liverpool, la UEFA aveva squalificato per 5 anni le squadre inglesi da tutte le sue competizioni (6 per il Liverpool).

Il Manchester United era già tornato una potenza nel campionato inglese, nel frattempo divenuto Premier League, e sembrava destinato a divenire dominante anche in Europa. Infatti, i Red Devils venivano da una semifinale e un quarto negli ultimi due anni.

La rimonta precedente e il sacrificio di Roy Keane

Quella finale era stata guadagnata ai danni della Juventus di Carlo Ancelotti, anche lì grazie a una rimonta che ebbe del clamoroso. Dopo l'1-1 dell'andata a Old Trafford, i bianconeri erano andati avanti 2-0 a Torino dopo pochi minuti. Sembrava fatta per i bianconeri, ma il capitano Roy Keane diede la scossa ai suoi con un gol di testa.

L'irlandese si fece poi ammonire, un cartellino giallo che lo costringerà a saltare la finale, ma era stato comunque fondamentale per i suoi, che pareggiavano già nel primo tempo con Dwight Yorke e trovavano il clamoroso 2-3 a pochi minuti dalla fine con il suo "gemello del gol" Andy Cole.

Il Manchester United diventa così la prima inglese post-Heysel a guadagnarsi la finale della massima competizione europea. Come ultimo ostacolo prima del trionfo trova il Bayern Monaco, a sua volta grande potenza del calcio tedesco ma che in Europa non vinceva da tantissimo, esattamente dal 1975-76.

Prima finale tra due squadre non campioni nazionali

La stagione precedente era stata particolare, per il Bayern e per tutto il calcio tedesco.

Il Meisterschale era stato vinto dal Kaiserslautern, neopromossa ma che l'anno precedente aveva vinto la Coppa di Germania pur militando in Zweite Liga. Per la squadra allenata da Otto Rehagel era il quarto titolo e sarebbe stato l'ultimo, prima di una discesa che ha visto la squadra biancorossa scendere anche in terza serie.

Ad ogni modo, quanto appena rievocato sul campionato tedesco 1996/97 serve per un altro di quei dettagli che rendono la finale di Champions League 1998/99 unica.

Si tratta infatti della prima edizione in cui si incontrano in finale due squadre che nella stagione precedente non avevano vinto il proprio campionato né erano detentori della stessa Champions League.

Sia i Red Devils che i bavaresi erano partiti dal turno preliminare, in quanto terminati al secondo posto nella stagione precedente del proprio campionato.

Il primo treble non si scorda mai

Last but not least, l'ultimo dettaglio a comporre una serata leggendaria è il fatto che entrambe le finaliste erano a caccia del loro primo "treble", conosciuto anche come "triplete". Avevano infatti entrambe vinto titolo e coppa nazionale.

La partita

Il match, arbitrato dall'italiano Pierluigi Collina, vede il Bayern passare in vantaggio dopo poco più di 5 minuti. L'autore del gol è Mario Basler, in quest'occasione davvero "Super", con una beffarda punizione dal limite che inganna Schmeichel sul suo palo.

Quando Super-Mario Basler era l'oro di Monaco

Di quel Bayern, Super-Mario era l'indiscusso leader tecnico, anche perché Ottmar Hitzfeld aveva costruito una squadra rocciosa come nella migliore delle antiche tradizioni tedesche.

Il vecchio Mattheus nella classica posizione di libero staccato, già allora una specie in via di estinzione, e squadra imbottita con un sapiente misto di armadi a quattro ante e onesti pedalatori con milioni di minuti nei polmoni, da Effenberg e Jeremies, passando per Tarnat, Babbel, Zickler e altri energumeni tipo Carsten Jancker.

L'unico altro giocatore in grado di dare davvero del tu al pallone era Mehmet Scholl, il quale però partiva dalla panchina.

Una volta sbloccato, il match scorre via con un copione tattico abbastanza prevedibile. Il Manchester si rende pericoloso diverse volte, ma Ollie Kahn non rischia quasi mai tantissimo.

Rischia invece tanto la squadra di Alex Ferguson, visto che nel secondo tempo Jancker si produce nell'unica specialità della casa, la sforbiciata, che si stampa sulla traversa. Poco dopo, Basler rischia di far venire giù il Camp Nou con un tiro quasi da centrocampo che si spegne poco sopra la porta difesa da Schmeichel.

Ai Red Devils manca tremendamente la personalità di capitan Keane, mentre il Bayern in quanto a personalità ne aveva da vendere, da Kahn a Mattheus, da Effenberg allo stesso Basler. Sembra che il "treble" dei tedeschi sia solo questione di istanti, ma al minuto 92 la storia cambia improvvisamente.

I minuti di recupero e i due gol nell'area piccola

Sugli sviluppi di un corner battuto da Beckham, dopo classico batti e ribatti c'è un tentativo da fuori area di Ryan Giggs.

Un tentativo più che velleitario, un classico tiro che si definiva una volta "di alleggerimento".

Ma quel rasoterra, sparacchiato senza troppa convinzione, finisce tra i piedi dorati di Teddy Sheringham, inserito una ventina di minuti prima da Ferguson al posto dell'ex Milan Blomqvist, a cui più avanti sarà il caso di dedicare qualche riga.

Dicevamo della palla che finisce tra i piedi di Sheringham, tutto solo in area piccola, che devia e insacca da due passi. 1-1 e palla al centro, ma con pochissimi istanti ancora da giocare. Tutto fa pensare ai supplementari, ma qualcosa deve ancora succedere.

Minuto 93, non più di 120 secondi dopo il gol del pareggio, c'è un altro calcio d'angolo dalla bandierina alla destra di Kahn.

Lo batte ancora una volta Beckham e sulla sua classicissima parabola a rientrare si lancia ancora lui, Teddy Sheringham. Praticamente nella stessa posizione da cui ha segnato l'1-1, il numero 10 la "spizza" (termine di una bruttezza terrificante ma rende l'idea) di testa, la palla viaggia verso la porta, non tocca neanche terra ed ecco che vi si avventa l'altro uomo del destino, Ole Gunnar Solskjaer.

Il norvegese la calcia da metri uno, e segna. 2-1, partita finita. Ettolitri di birra restano sul gozzo ai tifosi bavaresi, nel loro caso per il "treble" avrebbero dovuto aspettare ancora 20 anni.

La storia la scrive anche Blomqvist

Festeggiano invece i tifosi del Manchester United, e se ancora oggi i Red Devils sono la squadra con più tifosi al mondo è anche per nottate magiche come quella appena raccontata.

Una nottata di cui ricordiamo un ultimo dettaglio, che riguarda il già citato Jesper Blomqvist.

Quel 26 maggio 1999 nessuno poteva ancora neanche immaginarlo, ma nel gennaio scorso è divenuto realtà: Jesper Blomqvist è diventato il primo essere umano ad aver vinto una Champions League di calcio e una edizione di Masterchef.