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Calcio

Marco Ferrante, forte come un Toro

Attaccante di razza, attaccante vero: calcisticamente si poteva andare alla guerra contro chiunque, se si aveva in squadra Marco Ferrante. A testa bassa contro le difese, di testa o di piede, sempre pronto e reattivo per spingere la palla al di là del portiere.

Il Torino come scelta di vita, la maglia granata quasi tatuata addosso. Il rammarico per aver solo sfiorato il grande club, due in realtà come il Napoli e l'Inter. Ma forse non avremmo mai visto momenti "da Toro" come quelli mostrati da Ferrante, nato a Velletri "per caso", perchè lì giocava papà Gennaro, calciatore pure lui.

Cresciuto nelle giovanili della Juventus, Gennaro a causa di un infortunio al ginocchio a cavallo tra gli anni Sessanta e Settanta aveva cominciato a girovagare per l'Italia prima di ritirarsi e iniziare a gestire prima un bar in Sardegna e poi un paio di supermercati a Torino. Città che comunque tornerà nella vita della famiglia Ferrante.

Ferrante "pacco postale"

"Sono cresciuto ai piedi del Vesuvio e mi ritengo di essere stato un calciatore fortunato ma allo stesso tempo sfortunato di essere stato svezzato nel momento in cui a Napoli c'erano tanti campioni. La fortuna di allenarmi con Maradona, Alemao, Carnevale, Careca, Fonseca e Giordano era tanta, ma ero un po' presuntuoso e credevo di essere bravo quanto loro - ricorderà con rammarico anni dopo Marco Ferrante -. La panchina mi stava stretta e questo non mi permise di fare bene dopo. Poi molti mi dipingevano come ragazzo prodigio e mi montai la testa. Col senno del poi fu quello un grave errore".

Già, il Napoli all'epoca di Maradona. Esordio in azzurro all'ultima giornata del campionato 1988-89, Marco ha 18 anni e gioca addirittura 90 minuti filati da titolare in una specie di squadra-B, visto che i titolari hanno già dato, vincendo la Coppa Uefa contro lo Stoccarda. In coppia con Maurizio Neri è protagonista nella vittoria di Como.

Zero presenze l'anno successivo, poi iniziano i prestiti, tutti timbrati a suon di gol: Reggiana e soprattutto Pisa. Quando torna a Napoli, Marco è reduce da 13 gol in B coi toscani, ed è un altro mondo quello che trova. Niente più Maradona, è rimasto Careca, ma in attacco la concorrenza è sempre spietata: Fonseca, Bresciani e Zola lasciano poco spazio e allora l'attaccante rompe definitivamente.

Direzione Parma, dove anche lì i nomi grossi con cui allenarsi non mancano: ci si mette anche la sfortuna, come nella finale di Coppa della Coppe. Asprilla è in Colombia, infortunato, per Ferrante sembra arrivata la grande occasione, ma due giorni prima della finale contro l'Anversa, che i Ducali vinceranno, un tremendo mal di denti. Niente partita, coppa vista più che vinta.

E allora un nuovo giro di prestiti tra Piacenza, Perugia e Salernitana. "Sembravo un pacco postale, la valigia sempre pronta. A Piacenza ho vissuto l'amarezza di una retrocessione immeritata. E col Perugia lasciamo perdere, la stagione peggiore, da dimenticare, due mesi fuori rosa, volevo andar via, ma Gaucci non era d'accordo", affermerà.

Paradosso dei paradossi, nel palmares di Ferrante ci sono una Coppa Uefa con il Napoli e una Coppa delle Coppe con il Parma, ma in nessuna di queste due competizioni Marco ha mai messo piede in campo. Con il Napoli perché troppo giovane, con il Parma per via, appunto, di quell'infortunio last minute.

Torino grande amore

Il pacco postale smette di girare quando si fa avanti il Torino, prima in comproprietà e in seguito prendendolo in via definitiva. Dal 1996 al 2004, tranne sei mesi all'Inter, Ferrante vestirà il granata diventandone il quinto miglior realizzatore di sempre.

Quello è il periodo in cui il Toro è una squadra "provinciale" nonostante il grande blasone, che si arrabatta tra B (soprattutto) e A, ma in cui Marco timbra a ripetizione, a volte in partite importantissime come il derby contro la Juventus.

Memorabile uno dei suoi gol nella rimonta da 0-3 a 3-3 dei granata, il 2-3 nello specifico, nella stracittadina celebre per il rigore sbagliato da Salas dopo che Maspero aveva scavato una specie di cratere sul dischetto degli undici metri.

E poi l'esultanza, mimando il toro sotto la Curva Maratona, i due indici sopra le tempie e la corsa a testa bassa. Totalmente identificato con la squadra, la società, la storia e i tifosi. Niente più problemi di pubalgia, quelli che lo avevano limitato a lungo anche nelle stagioni precedenti. Nel 1999 trascina in A i granata segnando ben 26 gol, record del dopoguerra per la serie cadetta.

Insomma, la consacrazione. Arriva in un Torino disastrato ma è subito devastante e decisivo. Contro la Reggina al Delle Alpi segna addirittura 4 gol in mezz'ora, è il 5 gennaio del 1997 ed è lì che forse scatta l'idillio definitivo. Marco corre, lotta e la butta dentro, segna per 6 partite di fila, accusando poi un crollo quell'anno come tutto il Torino che chiude il campionato al nono posto con un umiliante 0-4 in casa contro il Ravenna.

Nei momenti di difficoltà, insomma, Ferrante costruisce il suo mito in granata. L'ultimo a mollare, come nello spareggio per la A perso col Perugia al termine della stagione 1997-98; lui c'è e risponde al vantaggio di Tovalieri.

I sei mesi che trascorre all'Inter, da gennaio a giugno 2001, in un'Inter pessima con Tardelli allenatore e lo 0-6 nel derby, non trova molto spazio. Meglio al Toro, di nuovo, fino a quando veramente l'energia finisce e bisogna cambiare aria. Totale, 123 gol in 252 partite con i granata.

C'è tempo per un ultimo ballo in Serie A: è il 2005-06, 8 gol con l'Ascoli, pieno di giocatori ormai a fine carriera. Nonostante i 35 anni suonati, Marco si dimostra sempre bomber di razza in una squadra che raggiunge la metà della classifica del campionato. L'ultimissima esperienza, al Verona per sei mesi in B.