Un metro e settanta d'altezza, 60 chili o poco più di peso, un paio di baffoni indimenticabili: Massimo Palanca, "piedino d'oro", perché portava il 37, misura da ballerino che non gli impediva di deliziare gli appassionati. E soprattutto i tifosi del Catanzaro, club a cui questo marchigiano dal tocco vellutato ha dedicato 11 anni della sua carriera.
Dal 1974 al 1981 e dal 1986 al 1990, infatti, Palanca ha segnato raffiche di gol per una squadra che, specialmente nella sua prima esperienza negli anni Settanta, era rappresentativa davvero del sud più sud possibile. Quella Calabria profonda in cui nessuno voleva andare a giocare se non i locali e che quando arrivò in Serie A per la prima volta, nel 1971, esplose di felicità per i giallorossi.
Palanca lì non c'era ancora, ma è stato grazie al "baffo" di Loreto che il Catanzaro è riuscito a mantenersi competitivo per almeno un lustro. Uno capace di segnare 13 volte direttamente da calcio d'angolo.
"Non credo di aver sbagliato. Palanca va proprio bene per il sud povero e depresso. Ha la povertà dipinta in faccia. Per me, scherzi a parte, diventerà un simbolo". Parole e musica di Nicola Ceravolo, presidente del Catanzaro, quando nell'estate del 1974 compra Massimo dal Frosinone, dove è appena stato capocannoniere in C-1 con 18 gol.
Lo sforzo economico è notevole, 120 milioni di lire, ma l'impatto è pressoché immediato, con l'allenatore Gianni Di Marzio a gongolare. La segnalazione era stata di questo genere: "Guarda che c'è un ragazzo in Ciociaria che se lo vedi non pare neppure un giocatore e invece fa i numeri".
In effetti sì, Palanca quando arriva oltre ai baffi folti e ai capelli lunghi è magro da far paura, un fuscello. Nato nel 1953 a Loreto, è uno degli otto figli del custode dello stadio di Porto Recanati, che arrotonda lo stipendio con le mance che gli danno i giocatori, Massimo si è fatto tutta la trafila dai dilettanti del Camerino fino alla A, conquistata nel 1976 con il Catanzaro.
Specialità, qualsiasi cosa si possa fare col piede sinistro, specialmente i gol "olimpici", quelli direttamente da calcio d'angolo: a fine carriera saranno 13, ufficialmente, senza troppe notizie di quando giocava nelle categorie inferiori. Soffre sui campi pesanti, di fronte a certi difensori che pesano 20 chili più di lui, e a quel punto si arrangia con la scaltrezza, dote fondamentale per sopravvivere in Serie A.
Per il resto Palanca a Catanzaro si trova benissimo, anche se ogni trasferta è un viaggio incredibile, tranne a Napoli, la città più vicina. La squadra peraltro va alla grande dopo la seconda promozione in due anni, nel 1978.
Palanca è capocannoniere anche in B, con 18 gol, mentre in A raggiunge la doppia cifra nella stagione successiva quando i calabresi chiudono addirittura al nono posto e il bomber marchigiano si concede il lusso di una tripletta contro la Roma nell'1-3 con cui i suoi sbancano l'Olimpico, il 4 marzo 1979. Stagione sensazionale per i calabresi quella, con semifinale di Coppa Italia e Massimo capocannoniere della competizione con 8 centri.
Un buon portiere (Mattolini) e un buon attaccante (Palanca) e una buona squadra è fatta, si dice sempre: in effetti per il Catanzaro quella massima vale alla grande.
Massimo, poi, nel 1981 sfiora il titolo di capocannoniere della Serie A con 13 reti. Lo precede solo Roberto Pruzzo della Roma, con 15. I giallorossi chiudono all'ottavo posto, roba impensabile alla vigilia, con 17 pareggi.
A quel punto il Catanzaro deve monetizzare e Palanca va al Napoli, ma non sarà la stessa cosa. Al suo posto i calabresi pescano il sorprendente Edi Bivi, che con 12 gol porta i suoi al miglior piazzamento di sempre in A: settimo posto.
Quando erano cominciate a girare le voci su un suo possibile trasferimento a una "big", Palanca era stato chiaro, quasi candido nelle sue ammissioni: "Se mi capitasse sarei contento, non lo nascondo.
Ma dove? Nel calcio c'è troppa ipocrisia e a me basta il Catanzaro, in fondo". E ancora: "No, non subirò contraccolpi, non vi saranno traumi nel passaggio dal Catanzaro al Napoli. Temo, però, la metropoli, la grande città è una specie di giungla. Potrei anche soffrirla, come no. Spero di superare in fretta il disagio".
Il Napoli sborsa per Massimo ben 1,6 miliardi di lire nell'estate del 1981: molta pressione a questo punto sull'attaccante, che stecca clamorosamente. Un solo gol in campionato, due rigori sbagliati in Coppa Italia e poco feeling con i compagni. Non è un tizio molto espansivo in sé, Palanca, però a Napoli si inabissa.
Non si sente la squadra addosso, come a Catanzaro. Sembra di vedere una trasposizione nella vita reale delle sue esperienze con le scarpe, fatte per lui su misura da un'azienda di Ascoli Piceno, per quel 37 da ballerino ci vuole persino un tacchetto in più. Come un ferrovecchio, ceduto in prestito al Como in B, ma pure qua maluccio.
Nel 1983 il ritorno in azzurro, disastroso. Un solo gol, inutile, quello della bandiera in una sconfitta 4-1 contro la Fiorentina. Fine del contratto, fine della giostra tra i grandi, apparentemente, per un Palanca che finisce al Foligno in C-2: triplo salto indietro di categoria e ha appena 31 anni.
Si rigenera per due stagioni, poi la chiamata "da casa": è il Catanzaro, che lo cerca per riprovare a tornare in B, visto che è precipitato in C-1. Obiettivo centrato subito, poi altri tre campionati tra i cadetti: 45 gol, in questo secondo spezzone di carriera in Calabria, dove diventa ancora più idolo dopo il ritiro nel 1990, mesto, con la retrocessione in C-1. Il totale col Catanzaro di "piedino d'oro" è di 137 reti in 367 presenze, naturalmente miglior marcatore nella storia del club.
Del tutto lontano dai riflettori, Palanca a Catanzaro rimane a vivere nonostante mantenga delle attività nelle Marche. Se i tifosi lo fermano per strada lui si mette volentieri a parlarci assieme, o si prende un caffè con loro.
In arrivo anche la cittadinanza onoraria della città, perché del resto chi più di Massimo ha saputo portare il nome di Catanzaro in giro per l'Italia? Un connubio inscalfibile. Insieme ai gol dalla bandierina e le scarpette numero 37.