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Calcio

Sei proprio tu, Mourinho? Tra difesa spasmodica e catenaccio, la Roma ha rinunciato a giocare a San Siro

Uno dei tre match di cartello della giornata numero 10 del campionato di Serie A, insieme a Napoli-Milan e Lazio-Fiorentina, era Inter-Roma, attesa fin dalle settimane precedenti al fischio iniziale dell'arbitro Maresca, visto il ritorno di Lukaku a Milano da avversario.

Lukaku in secondo piano

L'hype che si era creata intorno al match del Meazza per il centravanti belga che avrebbe occupato il fronte offensivo della squadra giallorossa, si è via via spento, anche alla luce del parere negativo della Questura di Milano, che non avrebbe visto di buon occhio i 35.000 fischietti che sarebbero dovuti servire per distrarre "Bog Rom", ad ogni suo tocco di palla.

Non sono serviti.

Non sono serviti perché Lukaku non ha mai dato pensieri alla retroguardia nerazzurra, non tanto perché innervosito, o messo in difficoltà dall'accoglienza dei tifosi dell'Inter, quanto perché, a parte qualche sponda per i compagni che provavano a cercarlo affinché completasse qualche sfuriata a liberarsi dell'avversario diretto.

Lukaku, vicino all'area di rigore, non l'ha mai vista.

E non dentro l'area, o al limite dell'area, niente, mai nemmeno nel semicerchio, alla luce di una prova sconcertante dei giallorossi che non sono mai riusciti a imbastire un'azione degna di nota, trovando difficoltà persino a costruire una manovra per chiamare in causa i tre di centrocampo ( chiamarli 5 di centrocampo come nell'intenzione del modulo uguale a quello dell'Inter, 3-5-2 pare un azzardo), tutti decisamente troppo timidi e fin troppo impegnati a tenere il baricentro basso, nel quale si sono distinti a turno sia le due mezze ali Bove e Cristante, quest'ultimo il migliore della sua squadra fuori dal terzetto difensivo formato da Mancini, Llorente e Ndicka, e da Paredes, orfano di quel raccordo che sarebbe servito per scavare un tunnel tra le linee nemiche, che, senza Dybala e/o Pellegrini, fatica tremendamente a palesarsi.

Gli esterni troppo bassi

Tutto si può dire di Simone Inzaghi, ma che l'allenatore piacentino sbagli l'approccio e la preparazione della partita, succede raramente. Molto raramente.

I quattro esterni che si sarebbero dovuti affrontare a coppie, come quinti di centrocampo, da una parte Dimarco e Kristensen e dall'altra Dumfries e Zalewski, hanno avuto nettissimi vincitori i due nerazzurri, che non si sono dovuti praticamente mai occupare della fase difensiva, ben controllata dai tre centrali, Bastoni, Acerbi e Pavard, nessuno di questi impensieriti dall'attacco romanista formato dal già evanescente Lukaku e dall'invisibile El Shaarawy.

Non sarebbe giusto addossare le colpe ai due terminali offensivi della Roma e tanto meno corretto, soprattutto se non si scende nell'analisi tecnica più profonda.

Come accennato in precedenza, quando manca il raccordo naturale tra centrocampo e attacco a causa dell'assenza di chi dovrebbe occupare la trequarti, diventa difficile impensierire una difesa collaudata e fisica come quella dell'Inter.

Non ci sono alternative, se non quella di spedire la palla tra i piedi di Lukaku che ( non ) può contare su un compagno di reparto che ha già dimostrato in più di un'occasione di potersi lanciare quando gli spazi sono tanti, non certo quando tra i piedi hai sempre un mastino avversario, una volta un esterno, una volta una mezz'ala ( dobbiamo ripeterci sulla necessità dell'utilizzo di Mkhitaryan e Barella ), una volta lo stesso Calhanoglu, senza contare i difensori.

E gli esterni della Roma? Dietro, troppo dietro, nessuna possibilità di accompagnare l'azione, visto che è stato palese fin da subito che la preoccupazione maggiore era quella di non perdere palla e farsi brekkare dalla ripartenza interista, letale nelle situazioni in cui c'è da lanciare i due esterni stessi, o la rivelazione di questo campionato, Thuram.

Oppure entrambe, nell'occasione del gol.

Diventava così una partita dove una squadra teneva il suo 3-5-2 e ne faceva sviluppare la forza propulsiva, mentre dall'altra parte si assisteva ad una involuzione ad un catenacciaro 5-3-2 fisso, che non aveva alcuna possibilità di esprimere gioco offensivo.

Il gol lo prendi

E prima o poi, quando non hai alcuna chance di metterla dentro perché non hai costruito nulla durante il match, la rete la prendi.

Sono rarissime le partite che arrivano al novantesimo a reti bianche, prima che la squadra che ha tenuto il possesso palla per due terzi del tempo, tirando 19 volte contro 3, la butti dentro con una delle sue azioni di stampo inzaghiano, sfondamento a sinistra con il tempismo perfetto di Dimarco, Thuram che prende il tempo a Llorente, lo brucia, gli passa davanti e il vantaggio è servito.

Vero è che il centravanti nerazzurro in rete domenica pomeriggio, ha avuto un avvio bruciante, coinvolto in 9 occasioni, 4 reti e 5 assist, durante le azioni vincenti della sua squadra. Nessun altro giocatore ha prodotto un simile dividendo nelle prime 10 gare di campionato da quando esiste il conteggio di questo tipo di statistiche, 2004/2005.

La Roma è rimasta così a guardare fino al 65° minuto, il momento del suo primo tiro verso la porta dell'Inter, anche in questo caso un record, questa volta negativo, per la squadra giallorossa che non aveva mai atteso così tanto dal 2004 prima di tirare, record che fa compagnia a quello delle 12 conclusioni contro Zero in un primo tempo di una partita della massima competizione italiana.

Se ancora non dovesse bastarvi, La Roma ha toccato solo due palloni in area avversaria, peggior risultato dal 24 gennaio 2016 contro la Juventus, per i giallorossi in Serie A.

Abbiamo già parlato delle importantissime, vitali assenze dell'attacco giallorosso, ma se il capitale umano a disposizione di Mourinho è questo, allora diventa difficile rimanere competitivi, o almeno difficile diventa un eufemismo, quando si gioca contro le squadre migliori del campionato e dell'Europa League.

Se si è Special One, occorre continuare a dimostrarlo, anche quando va quasi tutto storto.