La rivalità tra Gianni Rivera e Sandro Mazzola, è stata la sfida più accesa degli anni sessanta e settanta sotto la Madonnina di Milano, portabandiera rispettivamente di Inter e Milan.
Ma ha anche fatto molto discutere tutti i tifosi della nazionale, in quella ormai storica staffetta che ha condizionato il Mondiale di Messico '70.
Due talenti assoluti con caratteristiche diverse sia in campo sia fuori, icone di un'epoca in cui il calcio era ancora qualcosa di "romantico" e dove il senso di appartenenza la faceva da padrone.
Figlio di un ferroviere dell'alessandrino, Gianni Rivera fu un talento prematuro del calcio italiano, debuttando in Serie A a soli sedici anni con la maglia del Milan, per non abbandonarla più fino al 1979, suo ultimo anno tra i professionisti.
Diversa ovviamente la storia di Sandro Mazzola, che il DNA del campione ce l'aveva già nelle vene, ereditato dal padre, Valentino, ovvero uno degli eroi del grande Torino, tragicamente scomparso con i suoi compagni sul Superga.
Un'eredità portata avanti con onore, anche se non in maglia granata, visto che il giovanissimo Sandro mosse i primi passi già nelle giovanili nerazzurre, per poi esordire in prima squadra nella storica sconfitta per 9-1 contro la Juventus.
Ironia della sorte, i due rivali hanno cominciato praticamente nello stesso anno a muoversi nella massima serie, così come quasi in contemporanea hanno poi lasciato il calcio, poco meno di vent'anni dopo quel esordio.
In mezzo, due carriere costellate di successi con i rispettivi club, e un ambivalenza in nazionale che ha avuto il suo apice nel Mondiale del Messico nel 1970, quando Valcareggi non ne volle sapere di farli giocare insieme, aprendo strada alla "Staffetta", con un tempo per ciascuno.
I due giocatori in realtà, avevano caratteristiche piuttosto diverse, anche se per entrambi vale un po' l'ambiguità di un ruolo a metà tra centrocampista e attaccante puro.
Mazzola aveva dalla sua un bagaglio tecnico notevole, oltre a una certa fisicità che gli è servita soprattutto nella fase difensiva, di cui era indubbiamente ottimo interprete, tanto quanto in quella offensiva.
Per Gianni Rivera invece, la definizione di "Golden Boy" racchiudeva tutti pro e i contro: classe cristallina, tanta velocità d'azione e di pensiero, ma anche una collocazione tattica in campo difficile per quell'epoca, in cui il "trequartista" tra le linee non era ben definito.
Ad un fisico non proprio imponente (che gli era valso il soprannome di "abatino" da parte di Gianni Brera), compensa con una capacità innata di visione di gioco e geometrie.
Due giocatori che quindi, avrebbero probabilmente potuto convivere al meglio, almeno in nazionale.
Ma a rendere ancora più divisi i due, non bastassero i colori dell'unica maglia indossata, anche due caratteri che non potevano essere più opposti: Rivera costantemente in lite con il mondo (dalla stampa alla classe arbitrale, passando per quella con i vertici della FIGC fino ai rapporti tesi con lo stesso presidente del Milan Butticchi), Mazzola più introverso e probabilmente più indirizzato ai conflitti interiori (vedi l'ingombrante paragone con il padre) che a quelli esterni.
Se buona parte della rivalità calcistica, arriva dall'aver indossato per quasi un ventennio la fascia di capitano di Inter e Milan, per certi versi è la famosa "Staffetta" del Mondiale del Messico nel 1970 a fomentarla ulteriormente.
Complice in quel caso, mister Valcareggi, che vede un solo posto disponibile per il centrocampo, visto che davanti Gigi Riva e Roberto Boninsegna sono punti fermi. Morale, o gioca Rivera o gioca Mazzola, con una forte preferenza per quest'ultimo, probabilmente per le sue ottime doti di copertura.
All'epoca poi, erano concesse solo due sostituzioni, il più delle volte utilizzate solo in caso di infortunio, per cui non era ancora consuetudine fare grandi alternanze di giocatori in campo.
L'eccezione fu proprio tra Mazzola e Rivera, a cui venne concesso un tempo per uno durante le due partite della seconda fase a eliminazione diretta (quelle vinte contro Messico e Germania Ovest).
Paradossalmente, nonostante fosse Mazzola a partire da titolare, fu sempre Rivera a svoltare la partita per gli azzurri: prima con una doppietta contro il Messico e poi con lo storico gol del 4-3 finale contro la Germania.
Chissà quindi se ci fu anche un po' di "cabala" nel tenere in panchina il milanista (chiaramente al top della forma) anche nella finale contro il Brasile (poi persa per 4-1 con la beffa dell'ingresso di Rivera solo nei minuti finali e al posto di Boninsegna).
Impossibile ridurre a un paragrafo quelli che sono stati due decenni di sfide epiche in campionato.
Possiamo però darne un quadro finale, tramite i numeri e le statistiche dei due giocatori, oltre che con l'elenco dei loro tanti successi da mettere in bacheca, a cominciare forse da quello più eclatante e che forse sposta tutto in termini di giudizio assoluto: il pallone d'oro conquistato da Gianni Rivera nel 1969 (sfuggito invece a Mazzola, fino secondo dietro a Cruyff due anni dopo).