L'Olimpico illuso e poi deluso, il gol e l'infortunio di Pruzzo, Bruce Grobbelaar e le sue spaghetti legs, il gran rifiuto di Falcao, Ago Di Bartolomei e la triste fine che lo attendeva.
Sono davvero tante, le storie che si incrociavano la sera del 30 maggio 1984, nella finale di Coppa dei Campioni tra Liverpool e Roma.
C'è stato un tempo, che appare calcisticamente come un'era glaciale fa, in cui bastavano 9 partite per laurearsi campioni d'Europa.
In quel tempo, la Roma ebbe la possibilità di vincere la Coppa dei Campioni al primo colpo, e per giunta in casa propria. Un'occasione ghiotta come poche altre se ne ricordano, perché quello vinto l'anno prima era soltanto il secondo scudetto della squadra giallorossa in 56 anni di storia.
Ma era uno scudetto speciale, vinto da una squadra iconica. C'era quello straordinario bomber baffuto che rispondeva al nome di Roberto Pruzzo, il barone Liedholm in panchina, i quadricipiti infiniti di Sebino Nela, la leadership discreta di Agostino Di Bartolomei, la classe "brasiliana" di Bruno Conti e quella senza virgolette di Paulo Roberto Falcão, l'ultimo a potersi legittimamente fregiare del titolo di "Re di Roma" prima di Francesco Totti.
Al gruppo scudettato, il presidente Dino Viola aveva aggiunto la qualità dinoccolata di Toninho Cerezo e un altro campione del mondo in carica come Ciccio Graziani, entrambi presenti la notte del 30 maggio.
Una notte che sembrava fatta apposta per essere speciale, indimenticabile. Lo sarebbe stato, ma per ragioni opposte a quelle desiderate.
Al minuto 14, il piano partita del barone è già buono per il macero.
Colpa di un'uscita un po' così di Franco Tancredi, che i romanisti vorrebbero caricato da Whelan.
Ma colpa anche di un goffo errore di Dario Bonetti, che si ritrova la palla addosso, la tocca indietro di testa e poi prova a rinviarla forte, con la probabile intenzione di buttarla in fallo laterale. Accade però che la palla colpisce in testa il povero Tancredi, che era ancora a terra, e carambola sui piedi di Phil Neal, che a centro area ringrazia e insacca.
Un gollonzo ante litteram, che mette la partita su binari ideali per il Liverpool di Joe Fagan.
La Roma ci crede, e perviene al pareggio prima della fine del primo tempo. Gli artefici sono Bruno Conti e Roberto Pruzzo, un copione che da qualche anno era andato in scena diverse volte.
Ma stavolta è differente, perché a rendere speciale il tutto è il modo con cui il pallone arriva sulla testa del bomber. Dopo un tentativo di sinistro ribattuto, Conti si ritrova la palla che scende dall'altra parte, non ci pensa un attimo e, di destro, la mette in mezzo.
Di controbalzo, ma soprattutto di destro, piede che il grande Bruno usava solo per correre o poco più. Da cotanta rarità, Pruzzo non poteva che prodursi in qualcosa a sua volta di molto bello, con un salto all'indietro con torsione, e beffardo pallonetto che supera Grobbelaar.
La partita si trascina fino ai supplementari, senza che nessuna delle due - stanchissime - squadre trovi la via della rete.
Liedholm sceglie i 5 rigoristi ma, con somma sorpresa, si scopre che tra questi non c'è Paulo Roberto Falcão.
La sua assenza, complice l'esito disastroso per la Roma, alimenta voci e polemiche. Si dice che il brasiliano non se la sia sentita, ma ciò stride sia con la sua storia che con la sua leadership. La verità verrà fuori diversi anni dopo, anche se erano in diversi a conoscerla.
Falcão era arrivato alla partita contro il Liverpool con un ginocchio in pessime condizioni, a causa di un infortunio rimediato un paio di mesi prima contro l'Inter.
Un duro contrasto di Beppe Baresi gli aveva procurato una brutta contusione con interessamento dei legamenti, che avrebbe condizionato il resto della sua stagione.
Quel giorno, il dottor Ernesto Alicicco gli aveva praticato un'iniezione per permettergli di giocare senza dolore. Il Falcão della finale è tuttavia un lontano parente del campione che tutta Roma adorava.
Oltretutto, l'effetto dell'infiltrazione non era lunghissimo, e con il protrarsi del match ai tempi supplementari era già bell'e finito. Ecco il perché del "rifiuto", se così può chiamarsi, di assumersi la responsabilità del rigore.
Bruce Grobbelaar non era un portiere sensazionale, era bravo e affidabile e in Inghilterra aveva vinto molto. Ovviamente, da quella sera, è diventato una leggenda per tutti i tifosi del Liverpool.
Quella specie di balletto sulla linea di porta, detto "spaghetti legs", lo avrebbe reso antipatico a tutta l'Italia romanista e non solo. Ma perché quell'atteggiamento da sbruffone?
Anche qui, ci corre in aiuto un'intervista rilasciata dall'ex portiere zimbabwese diversi anni dopo. "Quando Bruno Conti prese la palla e iniziò a saltellare sul posto, io appena mi trovai sulla linea feci la mossa con le gambe e lui si fermò. Pochi secondi dopo successe ancora, allora pensai che poteva funzionare. Con Graziani invece lo rifeci perché mi dava fastidio vederlo mettere il braccio sulla spalla dell'arbitro e parlarci insistentemente mentre era sul dischetto."
Tutte balle, come si può facilmente verificare di persona guardando la versione integrale della finale, presente in rete (Dailymotion). Rimane un gesto un po' stupido che probabilmente ebbe poca o zero influenza sull'esito dei rigori, ma che fu sufficiente a renderlo leggenda per i Reds.
La storia più triste, tra quelle che si incrociarono la notte del 30 maggio 1984, rimane quella di Agostino Di Bartolomei.
Di quella Roma era leader silente, un po' alla Scirea, ma senza la serenità interiore del grande Gaetano.
Era un ragazzo tormentato, che alla Roma aveva dato tantissimo e di lì a poco si sarebbe ritrovato fuori, oggetto indesiderato del nuovo corso di Sven Goran Eriksson, perché ritenuto troppo lento.
Non era un fulmine di guerra, ma aveva una "castagna" che più volte aveva risolto problemi alla Roma. Memorabile il suo rigore, su cui Grobbelaar non ha avuto nemmeno modo di tentare una delle sue pagliacciate.
Di rigori calciati da fermo se ne sono visti tanti, ma è difficile immaginarne uno più potente di quello scagliato dal numero 10 giallorosso in quella occasione. Di Bartolomei comunque aveva anche avuto la chance di evitarli, i rigori, sfiorando il clamoroso gol-vittoria.
Nei minuti di recupero, Bruno Conti si trova sul limite sinistro dell'area e lo vede arrivare, servendogli un invitante rasoterra. Di Bartolomei carica ed esplode un destro terrificante dai 25 metri, che probabilmente sarebbe finito in rete se non avesse incontrato la testa di Alan Hansen, che devia in angolo.
Chissà cosa sarebbe stato della sua carriera e anche della sua vita, se fosse stato lui il match-winner di quella serata magica, trasformatasi in un incubo sportivo.
E, per lui, in qualcosa di molto peggio, esattamente 10 anni dopo.