Pellissier è il nome più comune in Valle d'Aosta, ma è diventato celebre anche a Verona e dintorni. Specie nella zona di Chievo, quartiere diventato squadra e poi favola, mito e leggenda.
Un club minuscolo arrivato a giocare i preliminari di Champions League, roba praticamente mai vista almeno in Italia. Con un giocatore che ne è stato simbolo e bandiera per quasi un ventennio, di fatto tutta la carriera: Pellissier Sergio, professione attaccante.
Riassumere la carriera di Pellissier al Chievo è come fare una gimcana nella storia del calcio di provincia in Serie A. Sempre a caccia della salvezza, da riserva a titolare inamovibile con il picco della chiamata in Nazionale nel 2009 e il gol segnato in amichevole all'Irlanda del Nord; giù giù fino all'inevitabile calo dovuto all'età e agli ultimi barlumi di gloria, sempre in A.
Maglia numero 31, ritirata. Non un 9 o un 11, ma una scelta piuttosto alternativa: "Perché l'avevo scelta? Non so, non c'è un motivo. Ma sono un tipo abitudinario, sapevo che così nel tempo mi sarei fatto riconoscere", avrebbe spiegato Sergio.
Nel suo piccolo, comunque, quel 31 era una reliquia: "È come la 10 di Maradona o Del Piero, un peso troppo grande. La potrà indossare solo un altro Pellissier", le parole del presidente del Chievo, Luca Campedelli, il giorno del ritiro dell'attaccante, nella primavera del 2019. "È il regalo più grande che il presidente potesse farmi. Questo dimostra che la società ha apprezzato il mio attaccamento alla squadra e tutto quello che ho fatto in questi anni", la risposta del bomber, autore di 139 gol in 517 partite con la maglia gialloblù dei "Mussi volanti", gli "Asini" che volavano in alto, eccome, a volte più in su delle cosiddette big.
Al Chievo per 17 stagioni di cui una sola in B, nel 2007-08, quando Pellissier realizzò ben 22 reti.
Per il resto, solo Serie A e cinque campionati in doppia cifra di marcature. Perché cambiavano i partner, d'accordo, ma al centro del villaggio c'era questo valdostano tranquillo, col suo pizzetto e lo sguardo furbo, attaccante completo e recordman di presenze per il club veronese, oggi scomparso dopo il crac del 2022.
Più ancora che omaggiare Pellissier è giusto provare a fare un elenco di chi ha condiviso con lui l'attacco gialloblù per vent'anni, per vedere il cambiamento del calcio e togliersi il cappello davanti a tanta longevità: Oliver Bierhoff, Federico Cossato, Amauri, Simone Tiribocchi, Erjon Bogdani, Victor Obinna, Pablo Granoche, Cyril Thereau, Davide Moscardelli, Alberto Paloschi, Roberto Inglese, Riccardo Meggiorini e Marius Stepinski.
Da giovane promessa a calciatore nel pieno della maturità a chioccia dei giovani: Pellissier era la colonna dell'attacco a cui affiancare qualcun altro, a seconda della partita e delle sue condizioni fisiche, ovvio. Leader carismatico e tecnico di un club che per forza di cose doveva affidarsi più alle idee che al portafoglio, a quelle che negli Stati Uniti chiamerebbero "intangibles", ciò che non si può toccare ma che ha un enorme valore.
Pellissier comunque aveva esordito nel calcio professionistico con la maglia del Torino, quando i granata nel campionato 1996-97 erano in Serie B.
Buttato dentro nella mischia a un quarto d'ora dalla fine in una trasferta a Salerno terminata con una sconfitta 2-1, non era riuscito a incidere.
Del resto non era ancora maggiorenne quel giorno. L'allenatore che lo lancia è Mauro Sandreani, che lo reputa "un ragazzo promettente", ma la valutazione che riceve sui giornali è di puro anonimato: "Un valdostano lanciato dal vivaio granata". Quasi sprezzante quell'aggettivo, come se dalla Valle d'Aosta non potessero uscire calciatori degni di quella maglia.
Impossibile trovare spazio al Torino, va al Varese nel 1998 e fiorisce portando con 9 gol la squadra ai playoff di C-1. Lo nota e lo prende il Chievo che è in B, ma lo presta alla Spal per "farsi le ossa". Fa un po' sorridere vista così, visto il futuro che attenderà Pellissier in gialloblù.
Comunque Sergio all'epoca è solamente un giovanotto di belle speranze, con un ruolo ancora non del tutto definito. A Ferrara non solo gioca bene, ma trova pure la donna che sposerà, una sera mentre è a cena in un ristorante proprio di fronte allo stadio Mazza, convenzionato con la società e dove paga coi buoni pasto: è Micaela, cameriera del locale, che diventerà anche la mamma dei suoi due figli. In campo, però, in piena fiducia diventa un trascinatore della Spal che sgomita per mantenere un posto in C-1.
A quel punto, è il 2002, può rientrare con le spalle larghe al Chievo, che è alla sua seconda stagione in Serie A dopo l'incredibile quinto posto dell'annata precedente. È una lunga storia d'amore con diversi momenti indimenticabili a livello personale. Su tutti, probabilmente, la tripletta segnata alla Juventus il 5 aprile del 2009 nel 3-3 con cui il Chievo esce indenne dallo Stadio Olimpico di Torino.
Chiude praticamente dieci anni dopo, i gialloblù sono retrocessi di nuovo in B, ma Pellissier non subirà l'onta di doverci giocare di nuovo.
È anche difficile trovare nella storia della massima serie un calciatore in grado di rimanere per così tanti anni in Serie A, in una squadra certamente non di primo piano. Quattro reti per lui nell'ultima stagione da professionista, l'ultima su rigore alla Fiorentina.
C'è tempo per un appendice come calciatore e poi dirigente della Clivense, società nata dalle ceneri del Chievo senza poterne recuperare il nome.
Due gol, poi dietro la scrivania come direttore sportivo nel campionato d'Eccellenza e poi in Serie D. Piano piano, senza troppi squilli di tromba, ma sempre legato a un territorio di cui è diventato un simbolo.