Calcio

Serie A 94/95: passaggio di testimone tra Milan e Juve

Del Piero, Vialli, Ravanelli. Ancora oggi, dopo Cristiano Ronaldo e Higuain, dopo Ibrahimovic e Trezeguet, se chiedete ai tifosi della Juventus quale sia stato il tridente o comunque l'attacco perfetto, non avrà dubbi nell'indicare ciò che costruì Marcello Lippi nel 1994-1995.

Il trio delle meraviglie. Che partì con Baggio, ma terminò con il successivo capitano, fino alla cessione del Divin Codino nell'estate successiva allo scudetto.

Ecco: se i primi anni Novanta sono stati quasi tutti del Milan, la seconda parte della decade sono stati quasi tutti di matrice bianconera.

Un passaggio di testimone che arrivò proprio in questa stagione: quella del cambio al vertice. E del ventitreesimo scudetto juventino.

Il campionato: vince la Juve

Dopo la delusione del mondiale statunitense, il campionato ebbe inizio il 4 settembre 1994. Le due squadre protagoniste all'inizio della stagione furono il Parma di Zola e Asprilla, una squadra non più provinciale e ormai affermata come una solida realtà, e la Roma, guidata dalla coppia sudamericana Fonseca-Balbo. Due underdogs, sì. Che si alternarono al vertice dalla quinta giornata fino al 30 ottobre, quando il Parma vinse lo scontro diretto (1-0), provando così a prendere il largo.

E la Juve? Ecco: nel mese di novembre, la nuova Juventus di Lippi cominciò pian piano a guadagnare terreno, dopo una fase iniziale di rodaggio che incluse un controverso gol fantasma subito contro il Foggia e il rinvio del derby di andata a gennaio a causa di un'alluvione. La squadra bianconera teneva testa alla Lazio di Signori e alla neopromossa Fiorentina di Batistuta, che sarebbe poi sbocciato ulteriormente, fino a diventare il capocannoniere a fine stagione.

Le squadre milanesi invece stentavano: il Milan campione in carica, distratto dalla Champions League e da problemi interni che portarono Gullit a lasciare il club, perse terreno rapidamente. Anche l'Inter, passata durante il torneo dalla proprietà Pellegrini a quella Moratti, si trovò a rischio retrocessione nel girone di andata. Sorprendentemente, il Foggia sembrava sopportare bene l'era post-Zeman, mantenendosi nei pressi delle posizioni di accesso alle competizioni europee sotto la guida di Catuzzi.

Verso la fine dell'anno, la Juventus prese tuttavia il sopravvento. Nonostante l'assenza del capitano Roberto Baggio, infortunato per cinque mesi, il giovane Del Piero e un Vialli rigenerato da Lippi divennero i pilastri su cui puntare in direzione titolo. Match decisivo? Con la Fiorentina. La Juve rimontò i viola in una partita memorabile, mentre una vittoria contro la Lazio le fece guadagnare la vetta solitaria. Nonostante un'incostante serie di risultati (sette sconfitte e quattro pareggi), la Juventus si assicurò il titolo pure in anticipo il 21 maggio.

In zona retrocessione, la Cremonese e il neopromosso Bari riuscirono a salvarsi, mentre il Foggia, nonostante un buon inizio, retrocesse in Serie B. Il Brescia, con una stagione disastrosa e una serie di sconfitte consecutive, ottenne la poco invidiabile fama di peggiore squadra della Serie A. Il Genoa fu l'ultima squadra a retrocedere, sconfitto dal Padova ai rigori nello spareggio a Firenze.

Il capocannoniere: Batistuta

La stagione 1994-1995 fu quella in cui Batistuta si affermò definitivamente: una definitiva consacrazione per una vera e propria forza della natura. Batigol non dimostrò soltanto talento e fiuto per la rete, ma fu decisivo per il ritorno al grande calcio della sua squadra, la Fiorentina. Quell'anno, Batistuta dominò di fatto la scena calcistica italiana, raggiungendo una continuità impressionante che lo portò a vincere la classifica cannonieri del campionato con 26 gol.

Ah, se non dovesse bastare, non fu solo il numero di reti a segnare la stagione dell'argentino. Durante la Serie A del 1994-1995, Batigol riuscì a battere un record che era rimasto inviolato per ben trentadue anni. Batistuta segnò almeno una rete per undici giornate consecutive dall'inizio del campionato, superando così il precedente record di Ezio Pascutti.

La sorpresa: la Lazio di Zeman

Non fu una stagione come le altre. E non lo fu ancor meno per la Lazio, arrivata seconda in classifica a dieci punti dalla Juve. Nell'estate del 1994, infatti, un cambiamento significativo ebbe luogo nel club capitolino, quando il patron biancoceleste Sergio Cragnotti decise di cedere la carica presidenziale a Dino Zoff, che aveva precedentemente allenato la squadra negli ultimi quattro anni.

In seguito a questa transizione, la panchina venne affidata a Zdenek Zeman, allora tecnico emergente e noto per la sua filosofia di gioco. Zeman aveva ottenuto riconoscimento per il suo calcio spregiudicato da allenatore del Foggia dei miracoli: aveva portato alla ribalta giocatori come Signori e Rambaudi, che presto si unirono ai biancocelesti, insieme a Chamot e Venturin. Zeman non ebbe dubbi: riecco il 4-3-3, stavolta con Rambaudi, Casiraghi e Signori.

La filosofia audace di Zeman si rifletté velocemente sulla squadra, che affrontò una stagione sì altalenante, specialmente in campionato, ma piena di vittorie eclatanti e con risultati tennistici. La Lazio riuscì a inserirsi nella lotta per il titolo, seppur senza riuscire a minacciare seriamente la Juventus di Marcello Lippi.