Possiamo parlare bene di tutti i bomber "di provincia", ma pure di quelli un po' più grandi: ci mancherebbe. Tuttavia prima o poi chiunque deve fare i conti con quello che probabilmente è il re di questa categoria di giocatori.
Del resto essere il capocannoniere ogni epoca della Serie B è un traguardo che sarà anche piccolo, rispetto ad altri, ma che mantiene un suo innegabile fascino. Anche perché in B oggi se uno è davvero bravo ci rimane poco, è diventata una categoria un po' usa e getta, diciamo così.
Invece Stefan Schwoch lì ci ha sguazzato come nessun altro. Ci stava talmente bene che quando ha assaggiato la A si è sentito pochissimo a suo agio, tanto da dover scendere di nuovo al "piano di sotto".
Senza mai considerarlo un declassamento, però, perchè in fondo ciascuno ha la sua missione; e quella di Schwoch era segnare a raffica, il più possibile, per portare una squadra dalla B alla A, appunto.
Anche questo è un dono: e Stefan con i suoi 135 gol in carriera tra i cadetti è il capocannoniere assoluto davanti ad altri nomi leggendari come Cacia e Caracciolo.
La grandezza di Schwoch oltre ad essere il capocannoniere assoluto della B, tecnicamente quindi "il re delle minors", è stata la sua continuità. Che ci crediate o no, 135 gol totali ma mai miglior realizzatore in un singolo campionato.
Ne ha disputati 12, Stefan, di campionato cadetti; e al massimo è arrivato a 22 reti con la maglia del Napoli nella stagione 1999-2000. Una stagione in cui meglio di lui fecero solo Cosimo Francioso del Genoa (24) e David Di Michele della Salernitana (23). Tuttavia né l'uno né l'altro riuscirono ad andare in Serie A quell'anno, a differenza di Schwoch e del Napoli.
Che roba, peraltro, un altoatesino (era infatti nato a Bolzano) nel cuore del sud Italia. Del resto il cognome non poteva mentire, ma nemmeno il nome: il padre, d'accordo, abruzzese d'origine, e la mamma addirittura siciliana, però il nonno era "austro-ungarico".
Forse anche questo contrasto ha reso l'attaccante così speciale, così apprezzato dai tifosi azzurri. Nessuno sbalzo, nessun timore di doversi confrontare con una piazza così calda.
Indimenticabile, quel 4 giugno del 2000: la vittoria a Pistoia del Napoli e la promozione in A. Gol di Schwoch naturalmente, un'azione sudamericana più che da Serie B con tutto il rispetto, l'ingresso in area, la finta a disorientare il difensore e la puntata vincente spiazzando il portiere.
Schwoch, alto 1.75 circa, è sempre stato un centravanti d'istinto, rapido e imprevedibile, la scaltrezza preferita alla potenza. E coi suoi capelli lunghi, la fascetta in testa, anche un'icona di immagine. Si dice ispirata a Gabriel Batistuta, un altro grandissimo centravanti.
Napoli, l'unica parentesi di una carriera tutta al centro-nord, dai Dilettanti in su. "Arrivai in città il 30 dicembre 1999, un sabato, da Venezia: la città veniva da anni bui, ma l'abbiamo riportata al centro. Quando scendevo in campo al San Paolo con la maglia numero 9 mi sentivo il giocatore più forte del mondo", ha dichiarato Schwoch, per cui ogni giorno in un caffé del centro c'era un tavolo riservato fino alle 10.30.
E dopo la promozione in A, di nuovo in B ma al Torino, un'altra nobile decaduta.
Risultato? Promozione in A, in una stagione complessa iniziata quasi fuori rosa e poi da trascinatore dopo la cessione di Ferrante all'Inter e il cambio di allenatore da Gigi Simoni a Giancarlo Camolese.
Per tre volte Schwoch ha portato a suon di gol una squadra nella massima serie: Napoli e Torino le abbiamo già viste, ma in precedenza c'era stato anche il capolavoro con il Venezia, nel 1998, trascinato con 17 reti a una A che mancava dal 1967, addirittura. In panchina, Walter Novellino, che avrebbe ritrovato con piacere anche a Napoli.
Schwoch arrivava dal Ravenna, che a sua volta aveva portato in B dalla C-1, e non era affatto uno da cui ci si sarebbe aspettati una carriera sfolgorante.
Spal, Crevalcore, Pavia e Livorno: tutte tappe dal vago sapore periferico. Alla Spal in C-2 addirittura un'esperienza come terzino o comunque ala: i titolari davanti sono gli esperti Mosele e Libro e un giorno non essendoci esterni disponibili in rosa Stefan alza la mano in spogliatoio e si auto-candida, meritandosi una maglia da titolare per il resto della stagione in un ruolo non suo.
Poi sarebbe tornato a fare "il 9", fino all'esplosione a Ravenna, appunto: a 27 anni, però, è ancora in terza serie.
A volte è solo questione di trovare il treno giusto e saltarci su. Tempo due stagioni e Stefan è in A, col Venezia: tra i grandi purtroppo fa una fatica bestiale, i lagunari sono in difficoltà e probabilmente hanno bisogno di gente più pronta. Segna comunque in 14 presenze due gol, uno a Udine e uno a Firenze, ma a gennaio fa le valige per Napoli mentre al Venezia arriva in prestito dall'Inter l'uruguaiano Alvaro Recoba, il cui impatto sulla squadra sarà esagerato. "El Chino" infatti quasi da solo porterà i veneti alla salvezza in coppia con Pippo Maniero.
"Forse avrei meritato più spazio in Serie A", ammetterà anni dopo Schwoch. Può essere, vista la carriera che hanno avuto altri simili a lui, uno su tutti Dario Hubner.
In compenso Stefan come finale di partita si sarebbe ritagliato un altro luogo del cuore dopo Napoli e cioè Vicenza, club con cui non solo ha disputato sette stagioni fino al ritiro ma con cui ha segnato 81 gol più di miti come Luis Vinicio o Paolo Rossi. Diventandone poi brevemente dirigente.
Tutto in B, sempre in B: la vera grande casa di Stefan Schwoch da Bolzano.