taarabt talento sprecato

Calcio

Taarabt, gioco dunque penso

"Le strade non dimenticheranno", si legge in una di quelle.

In un'altra, dal titolo piuttosto curioso, "Adel Taarabt umilia gli avversari per divertimento".

Aprendo questi e altri video, c'è un dettaglio che salta subito all'occhio: Taarabt giocava per se stesso, per il puro gusto della giocata. Non dribblava per concludere, ma dribblava per poi dribblare di nuovo.

Certo, di lui si ricordano anche molti bei gol e assist decisivi, ma la percentuale delle giocate funzionali rispetto a quelle futili è bassissima. E questo non per qualche carenza calcistica (intelligenza tecnico-tattica), ma al contrario per smisurato talento.

Il talento da predestinato

Nato in Marocco nel 1989 ma cresciuto in Francia, ha undici mesi quando decide di giochicchiare col pallone di spugna regalatogli dai genitori.

È un amore istantaneo, che si condensa nella chiamata del calcio che conta. Prima al Lens, tra giovanili e prima squadra (vi rimane appena un anno, stagione 2006/2007), poi al Tottenham in Premier League.

Qui gioca nove partite, fa vedere alcune buone cose ma in due anni non segna neanche un gol. Troppo poco, per la dirigenza Spurs come per lui, ragazzino con un sogno nel cassetto: diventare il calciatore africano più forte della sua generazione.

Un sogno che potrebbe diventare realtà al QPR, sempre a Londra.

Qui Taarabt gioca probabilmente il miglior calcio della sua carriera. Ha appena 20 anni quando indossa per la prima volta la casacca regale dei Queen's Park Rangers. Ne dimostra almeno il doppio per personalità. Di nuovo, però, questa non è un'aggiunta al bagaglio tecnico, ma va insieme con quello.

Vale a dire: Taarabt sfiora la palla come fosse la guancia dell'amata (parafrasando Eric Cantona), la accarezza con la suola ad ogni piè sospinto, conducendola con un'eleganza unica in giro per il campo.

Ha due giocate, su tutte, nelle quali è inimitabile (nel mondo): il tunnel, che riesce a regalare agli spettatori quasi ad ogni partita, rientrando con l'esterno o appoggiando il pallone con la suola tra le gambe dell'avversario; il tiro a giro, non alla Del Piero, perché quella di Alex era una parabola morbida e arcuata, quasi lenta e maledetta.

Il tiro di Taarabt invece è denso, deciso, come un liquore all'anice. La traiettoria del suo calcio non è panoramica ma tangente. I suoi tiri partono come schiaffi dal piede destro, e spesso il pallone va dentro con forza. 34 volte, col QPR, dal 2009 al 2013, in 150 partite. Alla prima stagione guida il QPR alla promozione mettendo a segno 19 gol e 16 assist (numeri paurosi) e viene eletto capitano. Non rispetterà, per eccesso di talento forse, quel peso così grande.

Il precoce declino

Alla seconda stagione coi biancoblu, Taarabt inizia ad assumere quei comportamenti che nel corso del tempo ne costituiranno un tratto tipico della personalità schizofrenica.

Mentre i suoi stanno perdendo il derby 3-0 contro il Fulham, viene sostituito e anziché accomodarsi in panchina esce dal Craven Cottage e si reca ad un pub nelle vicinanze per bere con dei tifosi.

Questo e altri atteggiamenti poco graditi alla dirigenza, all'allenatore al suo alter-ego Joey Barton, con cui nasce una vera e propria faida, ne decreteranno l'amaro addio nel 2014.

Inizia per Taarabt il periodo dei prestiti, al Fulham e al Milan (dove segna 4 gol in 14 partite).

Balotelli, che con lui si è allenato proprio in quella primavera, dirà del talento marocchino:

«a livello tecnico, Taarabt [era] più forte di Neymar, gli ho visto fare cose incredibili, in allenamento sì ma anche in campo. Solo che [era] matto».

Lo stesso Taarabt ricorda con toni dolci e amari quell'esperienza al Milan:

«Ero il miglior giocatore del Milan in quel periodo nonostante ci fossero calciatori come Kakà, Robinho, El Shaarawy e Balotelli. C'era Seedorf come allenatore, poi la società ha deciso di esonerarlo ed affidarsi ad Inzaghi che aveva idee differenti».

E ancora:

«Ad essere onesti, dopo il periodo al Milan ho perso un anno. Non capivo perché non fossi riuscito a rimanere. E non era di certo perché non l'avessi meritato in campo, perché tutti i tifosi dicevano di non credere al fatto che la società non mi avesse riscattato».

In quella fase, Taarabt sperimenta persino le prime crisi dovute all'ansia e alla depressione.

Sarà il Benfica (dopo un anno riscaldato al QPR, stagione 14/15) a puntare su di lui.

Ma in Portogallo, dal 2015 al 2017, Taarabt sta molto male, psicologicamente e fisicamente, e gioca zero (sic) partite in due anni. Va al Genoa in prestito nel 2018, torna al Benfica e per un anno (2018/2019) gioca col Benfica B. La stagione successiva però è quella del riscatto: col i lusitani (da centrocampista centrale) segnerà 2 reti in 73 partite dal 2019 al 2022, prima di trasferirsi all'Al-Nassr dove tuttora gioca.

«Il Milan rimane ancora oggi un club che amo, lo seguo sempre. Ma la squadra alla quale sono più legato è il Benfica».

Forse qui Taarabt ha trovato finalmente quella pace, quella Saudade, che ha cercato per tutta un'esistenza. Forse qui tornerà, magari con un ruolo dirigenziale.

In fondo chi sa vedere con i piedi, sa scrutare con gli occhi. Anche se, come per lui, attraverso una strada tortuosa e incerta.