Nella corposa letteratura delle imprese sportive che sembravano impossibili, c'è una categoria molto particolare.
Parliamo di una di quelle vittorie che a inizio carriera tutti profetizzavano come quasi certa, in base a cosa lasciava presagire lo smisurato talento di un atleta, la cui carriera però avrebbe ampiamente tradito le aspettative. Poi, però, quando nessuno ci credeva più, eccola accadere.
Quando il probabile delude le attese, diventa in qualche modo "ancora più impossibile". Per questo l'impresa diventa ancora più pazzesca. Per questo non ci sarà probabilmente nessuna vittoria paragonabile a quella di Goran Ivanisevic a Wimbledon 2001.
Goran Ivanisevic si era rivelato al mondo nel 1989, spingendosi fino ai quarti dell'Australian Open da n.300 al mondo, prima di arrendersi a "gattone" Mecir. Oggi vedere giocatori oltre il metro e 90 è praticamente la regola, allora quello spilungone era una sorta di stramba eccezione. Normale che, per i tempi, il servizio fosse praticamente ingiocabile. Con la sua Head Prestige tirava mine imprendibili e non è un caso, se ancora oggi Goran è quinto all time per ace messi a segno in carriera, uno dei soli 5 a servirne almeno 10mila insieme a John Isner, Ivo Karlovic, Roger Federer e Feliciano Lopez.
Il problema di quel ragazzone croato è che era un "testa matta". Aveva anche due bei fondamentali, potenti ma non solidi al punto da farne mai un regolarista. A rete era abituato bene, nel senso che un servizio come il suo lo metteva spesso in condizione di avere una volée semplice o elementare. In realtà il suo gioco di volo era potenzialmente di alto livello, ma per larga parte della sua carriera Ivanisevic è stato troppo pigro, discontinuo o infortunato per lavorarci su.
Ad ogni modo, per lui tutti gli esperti prevedono un tot di vittorie a Wimbledon, la superficie in cui uno con le sue caratteristiche è maggiormente ingiocabile. Già nel 1990, a neanche 19 anni, si spinge fino alla semifinale. Lì, però, trova ad attenderlo un Boris Becker in piena era "bum bum", che lo rimette bruscamente al suo posto in 4 set.
L'anno dopo è per la prima volta testa di serie, precisamente n.10, ma qui iniziano a palesarsi i problemi. Goran esce al 2° turno dal carneade inglese Nick Brown, qualcosa come n.591 del ranking ATP e per il quale, come è facile prevedere, quella vittoria rappresenterà l'apice mai più raggiunto in carriera.
Per Goran invece inizia una sequela di aspettative tradite che lo accompagnerà per larga parte della sua carriera. Eppure, già nel 1992 sembra che l'impresa di vincere Wimbledon sia per lui a portata di mano. Sull'erba londinese arriva da ottava testa di serie, agli ottavi approfitta del ritiro di Ivan Lendl quando era però in largo vantaggio, ma di lì si accende. In semifinale emerge in 5 set contro il maestro Stefan Edberg, in semifinale fa ancora meglio lasciando solo un set a Pete Sampras. Così, quando la finale lo vede opposto alla testa di serie numero 12, al secolo Andrè Agassi, il trionfo sembra vicino.
Il destino vuole però che Agassi avesse una caratteristica: essere un risponditore micidiale, sicuramente il migliore tennista in risposta del tempo e forse, per riflessi puri, superiore anche a Novak Djokovic in una ipotetica classifica all-time di categoria. La finale è un contrasto di stili epico, con il croato che scappa avanti, va sotto 2-1, domina il quarto set ma poi si deve arrendere al quinto per 6-4. Quella sconfitta segnerà l'inizio dell'epopea di un altro dei più grandi campioni di questo sport, a svantaggio proprio di Goran che accusa tantissimo il colpo.
Nel 1993 esce al terzo turno, stroncato 6-0 al quinto da Todd Martin. L'anno seguente torna in finale, dove però trova Pete Sampras nel periodo in cui era inavvicinabile. Finisce 7-6 7-6 6-0, ma Goran avrà pensato che non può piovere per sempre. E invece l'anno seguente piove ancora, perché il tabellone lo oppone ancora a Sampras in semifinale, ma l'americano ha ancora la meglio in 5 set.
Il 1996 è forse quello del grande rimpianto, perché è un'edizione che verrà vinta da Richard Krajicek in finale su MaliVai Washington. Ivanisevic, da testa di serie numero 4, perde ai quarti dall'australiano Jason Stoltenberg, e in molti iniziano a dubitare che il croato possa diventare realmente un campione fatto e finito. E la maledizione continua la volta seguente in cui, da testa di serie n.3, si ferma addirittura al 2° turno dopo una battaglia 14-12 al set decisivo contro Magnus Norman.
Nel 1998 è ancora una volta Sampras a negargli la vittoria nella sua terza finale, persa 6-2 al quinto. Nel frattempo, gli infortuni iniziano a farsi sentire, mettendo ancora più in pericolo una carriera che già era da considerarsi a rischio per la costanza non adeguata al talento. Nel 1999 esce agli ottavi ancora da Todd Martin, e nel 2000 addirittura all'esordio contro Arnaud Clement. Goran ha ormai 28 anni, molte promesse non mantenute e una spalla che non gli dà pace.
Con queste premesse, si arriva all'edizione di Wimbledon 2001. Goran, con la spalla malridotta aveva chiuso l'anno precedente con un bilancio di 14 vinte e 22 perse, e un conseguente crollo in classifica. A Londra arriva da numero 125 del ranking, non ha dunque la classifica per l'ingresso diretto in tabellone. L'organizzazione dell'All England Lawn Tennis and Croquet Club non si dimostra però insensibile e gli concede una Wild Card. Le aspettative, tuttavia, sono molto simili a quelle di un quasi ex giocatore.
Al primo turno il sorteggio è abbastanza benevolo e gli mette di fronte il qualificato svedese Fredrik Jonsson, che lo impegna il giusto: 6-4 periodico e il primo ostacolo è superato.
Già al secondo turno, però, arriva un avversario di quelli che possono fare terminare il sogno in fretta: Carlos Moya. Lo spagnolo non è propriamente un erbivoro ed è a sua volta reduce da infortuni. Tuttavia, dopo un tie-break perso al primo set, Goran Ivanisevic non trova ostacoli e vince al quarto.
Al terzo turno, ecco il gemello diverso: Andy Roddick. Lo statunitense non è ancora quel giocatore che arriverà in vetta al ranking ATP, ma è un tipo di giocatore molto simile al croato, un big server seppure con una morfologia atletica diversa e un fisico più compatto. Goran riesce a mantenere il muso sempre avanti e vince 7-6 5-7 6-3 6-3. La prestazione di Ivanisevic attira l'attenzione degli esperti, che però continuano a guardare a Goran come si guarda un'ex amante che ci ha tradito.
Le cose cambiano già agli ottavi, quando Ivanisevic dà un dispiacere agli inglesi dando tre set a zero a Greg Rusedski. Tuttavia, è con il match fantastico giocato ai quarti contro Marat Safin, testa di serie numero 4 ma uscito con le ossa rotte al quarto set, dopo aver subito qualcosa come 30 ace.
Quando in semifinale il croato affronta Tim Henman, gli organizzatori iniziano a temere il peggio. Gli avevano concesso una Wild Card come una sorta di passerella finale della carriera, invece adesso metteva in serio pericolo l'agognato successo di un tennista inglese, atteso da 65 anni. E infatti, l'incubo si materializza.
Henman è una sorta di professore del tennis su erba, ma fatica tremendamente a trovare le contromisure per l'illeggibile servizio di Ivanisevic. Eppure, Tim sembra trovare il bandolo della matassa. Vince il terzo set 6-0 e va in vantaggio anche nel quarto. Qui però interviene qualcuno dall'alto, a mandare l'ennesima interruzione per pioggia che in questo caso è una manna dal cielo per Goran, che appariva vicino al KO. Il match durerà globalmente quasi tre giorni anche se le ore di gioco nette saranno poco più di tre. Finirà 7-5 6-7 0-6 7-6 6-3 e 35 ace messi a segno da Goran, che è incredibilmente in finale.
All'ultimo atto lo aspetta Pat Rafter, un altro erbivoro doc che l'anno precedente aveva perso proprio in finale dal solito Sampras, vincitore in quell'occasione per la settima e ultima volta sull'erba londinese. L'australiano è testa di serie numero 10 e in teoria nettamente favorito sul croato, ma ormai tutti gli schemi sono saltati, come si suol dire. Ivanisevic ha già battuto 5 avversari da sfavorito, compreso il numero 3 al mondo Marat Safin e alcuni specialisti come Henman e Rusedski.
Il match è molto bello, tra due giocatori dallo stile diverso ma che si equivalgono incredibilmente in quasi tutte le statistiche. Ognuno pratica un tennis molto offensivo a suo modo, e stavolta gli ace sono decisivi fino a un certo punto: Goran ne serve 27 ma accompagnati da 15 doppi falli, Pat 13 con solo 4 doppi falli. Sempre sul filo dell'incertezza si arriva al quinto set, che va avanti a oltranza. Sul 7-7, Ivanisevic trova il break con due fulminanti risposte di dritto, togliendo il servizio per la terza volta nel match a Rafter.
Tuttavia non è ancora finita. Sul 30-30 serve un ace centrale, il numero 212 del suo torneo, e arriva al match point. La sua emozione è palpabile, Goran chiede e ottiene da un raccattapalle la stessa palla con cui ha appena servito e, avviandosi verso la zona di battuta, sembra quasi chiedere aiuto al Creatore per quel dannato ultimo punto. Ma il mancino croato non si smentisce nemmeno stavolta e spreca due match point con altrettanti doppi falli, uno lungo di un metro e uno in rete. Il terzo, invece, glielo annulla Rafter con un delizioso lob di rovescio.
Al quarto, però, l'australiano affonda in rete la risposta. L'impossibile diventa realtà, quello che tutti attendevano una decina di anni prima, e su cui nessuno sperava più, si è realizzato. Goran Ivanisevic mette a segno una delle più incredibili vittorie nella storia di Wimbledon. Non a caso, nessuno era mai riuscito a vincere il torneo da Wild Card e con quella classifica. E chissà se qualcun altro ci riuscirà mai.